Este blogue é uma extensão de Entre as brumas da memória.

terça-feira, 23 de dezembro de 2008

Discurso de Bento XVI à Cúria Romana (22/12/2008)

L'ascolto del linguaggio della creazione salva l'uomo dalla distruzione

Il disprezzo del linguaggio della creazione porta all'"autodistruzione dell'uomo" e alla "distruzione dell'opera stessa di Dio". Lo ha affermato Benedetto XVI nel discorso rivolto alla Curia Romana durante la tradizionale udienza di fine anno in occasione degli auguri natalizi, svoltasi lunedì mattina, 22 dicembre, nella Sala Clementina.

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

Il Natale del Signore è alle porte. Ogni famiglia sente il desiderio di radunarsi, per gustare l'atmosfera unica e irripetibile che questa festa è capace di creare. Anche la famiglia della Curia Romana si ritrova, stamane, secondo una bella consuetudine grazie alla quale abbiamo la gioia di incontrarci e di scambiarci gli auguri in questo particolare clima spirituale. A ciascuno rivolgo il mio saluto cordiale, colmo di riconoscenza per l'apprezzata collaborazione prestata al ministero del Successore di Pietro. Ringrazio vivamente il Cardinale Decano Angelo Sodano, che, con la voce di un angelo, si è fatto interprete dei sentimenti di tutti i presenti e anche di quanti sono al lavoro nei diversi uffici, comprese le Rappresentanze Pontificie. Accennavo all'inizio alla speciale atmosfera del Natale. Mi piace pensare che essa sia quasi un prolungamento di quella misteriosa letizia, di quell'intima esultanza che coinvolse la santa Famiglia, gli Angeli e i pastori di Betlemme, nella notte in cui Gesù venne alla luce. La definirei "l'atmosfera della grazia", pensando all'espressione di san Paolo nella Lettera a Tito: "Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri omnibus hominibus" (cfr. Tt 2, 11). L'Apostolo afferma che la grazia di Dio si è manifestata "a tutti gli uomini": direi che in ciò traspare anche la missione della Chiesa e, in particolare, quella del Successore di Pietro e dei suoi collaboratori, di contribuire cioè a che la grazia di Dio, del Redentore, diventi sempre più visibile a tutti, e a tutti rechi la salvezza.
L'anno che sta per concludersi è stato ricco di sguardi retrospettivi su date incisive della storia recente della Chiesa, ma ricco anche di avvenimenti, che recano con sé segnali di orientamento per il nostro cammino verso il futuro. Cinquant'anni fa moriva Papa Pio xii, cinquant'anni fa Giovanni xxiii veniva eletto Pontefice. Sono passati quarant'anni dalla pubblicazione dell'Enciclica Humanae vitae e trent'anni dalla morte del suo Autore, Papa Paolo vi. Il messaggio di tali avvenimenti è stato ricordato e meditato in molteplici modi nel corso dell'anno, così che non vorrei soffermarmici nuovamente in questa ora. Lo sguardo della memoria, però, si è spinto anche più indietro, al di là degli avvenimenti del secolo scorso, e proprio in questo modo ci ha rimandato al futuro: la sera del 28 giugno, alla presenza del Patriarca ecumenico Bartolomeo i di Costantinopoli e di rappresentanti di molte altre Chiese e Comunità ecclesiali abbiamo potuto inaugurare nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura l'Anno Paolino, nel ricordo della nascita dell'Apostolo delle genti 2000 anni fa. Paolo per noi non è una figura del passato. Mediante le sue lettere, egli ci parla tuttora. E chi entra in colloquio con lui, viene da lui sospinto verso il Cristo crocifisso e risorto. L'Anno Paolino è un anno di pellegrinaggio non soltanto nel senso di un cammino esteriore verso i luoghi paolini, ma anche, e soprattutto, in quello di un pellegrinaggio del cuore, insieme con Paolo, verso Gesù Cristo. In definitiva, Paolo ci insegna anche che la Chiesa è Corpo di Cristo, che il Capo e il Corpo sono inseparabili e che non può esserci amore per Cristo senza amore per la sua Chiesa e la sua comunità vivente.
Tre specifici avvenimenti dell'anno che s'avvia alla conclusione saltano particolarmente agli occhi. C'è stata innanzitutto la Giornata Mondiale della Gioventù in Australia, una grande festa della fede, che ha riunito più di 200.000 giovani da tutte le parti del mondo e li ha avvicinati non solo esternamente - nel senso geografico - ma, grazie alla condivisione della gioia di essere cristiani, li ha anche avvicinati interiormente. Accanto a ciò c'erano i due viaggi, l'uno negli Stati Uniti e l'altro in Francia, nei quali la Chiesa si è resa visibile davanti al mondo e per il mondo come una forza spirituale che indica cammini di vita e, mediante la testimonianza della fede, porta luce al mondo. Quelle sono state infatti giornate che irradiavano luminosità; irradiavano fiducia nel valore della vita e nell'impegno per il bene. E infine c'è da ricordare il Sinodo dei Vescovi: Pastori provenienti da tutto il mondo si sono riuniti intorno alla Parola di Dio, che era stata innalzata in mezzo a loro; intorno alla Parola di Dio, la cui grande manifestazione si trova nella Sacra Scrittura. Ciò che nel quotidiano ormai diamo troppo per scontato, l'abbiamo colto nuovamente nella sua sublimità: il fatto che Dio parli, che Dio risponda alle nostre domande. Il fatto che Egli, sebbene in parole umane, parli di persona e noi possiamo ascoltarLo e, nell'ascolto, imparare a conoscerLo e a comprenderLo. Il fatto che Egli entri nella nostra vita plasmandola e noi possiamo uscire dalla nostra vita ed entrare nella vastità della sua misericordia. Così ci siamo nuovamente resi conto che Dio in questa sua Parola si rivolge a ciascuno di noi, parla al cuore di ciascuno: se il nostro cuore si desta e l'udito interiore si apre, allora ognuno può imparare a sentire la parola rivolta appositamente a lui. Ma proprio se sentiamo Dio parlare in modo così personale a ciascuno di noi, comprendiamo anche che la sua Parola è presente affinché noi ci avviciniamo gli uni agli altri; affinché troviamo il modo di uscire da ciò che è solamente personale. Questa Parola ha plasmato una storia comune e vuole continuare a farlo. Allora ci siamo nuovamente resi conto che - proprio perché la Parola è così personale - possiamo comprenderla in modo giusto e totale solo nel "noi" della comunità istituita da Dio: essendo sempre consapevoli che non possiamo mai esaurirla completamente, che essa ha da dire qualcosa di nuovo ad ogni generazione. Abbiamo capito che, certamente, gli scritti biblici sono stati redatti in determinate epoche e quindi costituiscono in questo senso anzitutto un libro proveniente da un tempo passato. Ma abbiamo visto che il loro messaggio non rimane nel passato né può essere rinchiuso in esso: Dio, in fondo, parla sempre al presente, e avremo ascoltato la Bibbia in maniera piena solo quando avremo scoperto questo "presente" di Dio, che ci chiama ora.
Infine era importante sperimentare che nella Chiesa c'è una Pentecoste anche oggi - cioè che essa parla in molte lingue e questo non soltanto nel senso esteriore dell'essere rappresentate in essa tutte le grandi lingue del mondo, ma ancora di più in senso più profondo: in essa sono presenti i molteplici modi dell'esperienza di Dio e del mondo, la ricchezza delle culture, e solo così appare la vastità dell'esistenza umana e, a partire da essa, la vastità della Parola di Dio. Tuttavia abbiamo anche appreso che la Pentecoste è tuttora "in cammino", è tuttora incompiuta: esiste una moltitudine di lingue che ancora attendono la Parola di Dio contenuta nella Bibbia. Erano commoventi anche le molteplici testimonianze di fedeli laici da ogni parte del mondo, che non solo vivono la Parola di Dio, ma anche soffrono per essa. Un contributo prezioso è stato il discorso di un Rabbì sulle Sacre Scritture di Israele, che appunto sono anche le nostre Sacre Scritture. Un momento importante per il Sinodo, anzi, per il cammino della Chiesa nel suo insieme, è stato quello in cui il Patriarca Bartolomeo, alla luce della tradizione ortodossa, con penetrante analisi ci ha aperto un accesso alla Parola di Dio. Speriamo ora che le esperienze e le acquisizioni del Sinodo influiscano efficacemente sulla vita della Chiesa: sul personale rapporto con le Sacre Scritture, sulla loro interpretazione nella Liturgia e nella catechesi come anche nella ricerca scientifica, affinché la Bibbia non rimanga una Parola del passato, ma la sua vitalità e attualità siano lette e dischiuse nella vastità delle dimensioni dei suoi significati.
Della presenza della Parola di Dio, di Dio stesso nell'attuale ora della storia si è trattato anche nei viaggi pastorali di quest'anno: il loro vero senso può essere solo quello di servire questa presenza. In tali occasioni la Chiesa si rende pubblicamente percepibile, con essa la fede e perciò almeno la questione su Dio. Questo manifestarsi in pubblico della fede chiama in causa ormai tutti coloro che cercano di capire il tempo presente e le forze che operano in esso. Specialmente il fenomeno delle Giornate Mondiali della Gioventù diventa sempre più oggetto di analisi, in cui si cerca di capire questa specie, per così dire, di cultura giovanile. L'Australia mai prima aveva visto tanta gente da tutti i continenti come durante la Giornata Mondiale della Gioventù, neppure in occasione dell'Olimpiade. E se precedentemente c'era stato il timore che la comparsa in massa di giovani potesse comportare qualche disturbo dell'ordine pubblico, paralizzare il traffico, ostacolare la vita quotidiana, provocare violenza e dar spazio alla droga, tutto ciò si è dimostrato infondato. È stata una festa della gioia - una gioia che infine ha coinvolto anche i riluttanti: alla fine nessuno si è sentito molestato. Le giornate sono diventate una festa per tutti, anzi solo allora ci si è veramente resi conto di che cosa sia una festa - un avvenimento in cui tutti sono, per così dire, fuori di sé, al di là di se stessi e proprio così con sé e con gli altri. Qual è quindi la natura di ciò che succede in una Giornata Mondiale della Gioventù? Quali sono le forze che vi agiscono? Analisi in voga tendono a considerare queste giornate come una variante della moderna cultura giovanile, come una specie di festival rock modificato in senso ecclesiale con il Papa quale star. Con o senza la fede, questi festival sarebbero in fondo sempre la stessa cosa, e così si pensa di poter rimuovere la questione su Dio. Ci sono anche voci cattoliche che vanno in questa direzione valutando tutto ciò come un grande spettacolo, anche bello, ma di poco significato per la questione sulla fede e sulla presenza del Vangelo nel nostro tempo. Sarebbero momenti di una festosa estasi, che però in fin dei conti lascerebbero poi tutto come prima, senza influire in modo più profondo sulla vita.
Con ciò, tuttavia, la peculiarità di quelle giornate e il carattere particolare della loro gioia, della loro forza creatrice di comunione, non trovano alcuna spiegazione. Anzitutto è importante tener conto del fatto che le Giornate Mondiali della Gioventù non consistono soltanto in quell'unica settimana in cui si rendono pubblicamente visibili al mondo. C'è un lungo cammino esteriore ed interiore che conduce ad esse. La Croce, accompagnata dall'immagine della Madre del Signore, fa un pellegrinaggio attraverso i Paesi. La fede, a modo suo, ha bisogno del vedere e del toccare. L'incontro con la croce, che viene toccata e portata, diventa un incontro interiore con Colui che sulla croce è morto per noi. L'incontro con la Croce suscita nell'intimo dei giovani la memoria di quel Dio che ha voluto farsi uomo e soffrire con noi. E vediamo la donna che Egli ci ha dato come Madre. Le Giornate solenni sono soltanto il culmine di un lungo cammino, col quale si va incontro gli uni agli altri e insieme si va incontro a Cristo. In Australia non per caso la lunga Via Crucis attraverso la città è diventata l'evento culminante di quelle giornate. Essa riassumeva ancora una volta tutto ciò che era accaduto negli anni precedenti ed indicava Colui che riunisce insieme tutti noi: quel Dio che ci ama sino alla Croce. Così anche il Papa non è la star intorno alla quale gira il tutto. Egli è totalmente e solamente Vicario. Rimanda all'Altro che sta in mezzo a noi. Infine la Liturgia solenne è il centro dell'insieme, perché in essa avviene ciò che noi non possiamo realizzare e di cui, tuttavia, siamo sempre in attesa. Lui è presente. Lui entra in mezzo a noi. È squarciato il cielo e questo rende luminosa la terra. È questo che rende lieta e aperta la vita e unisce gli uni con gli altri in una gioia che non è paragonabile con l'estasi di un festival rock. Friedrich Nietzsche ha detto una volta: "L'abilità non sta nell'organizzare una festa, ma nel trovare le persone capaci di trarne gioia". Secondo la Scrittura, la gioia è frutto dello Spirito Santo (cfr. Gal 5, 22): questo frutto era abbondantemente percepibile nei giorni di Sydney. Come un lungo cammino precede le Giornate Mondiali della Gioventù, così ne deriva anche il camminare successivo. Si formano delle amicizie che incoraggiano ad uno stile di vita diverso e lo sostengono dal di dentro. Le grandi Giornate hanno, non da ultimo, lo scopo di suscitare tali amicizie e di far sorgere in questo modo nel mondo luoghi di vita nella fede, che sono insieme luoghi di speranza e di carità vissuta.
La gioia come frutto dello Spirito Santo - e così siamo giunti al tema centrale di Sydney che, appunto, era lo Spirito Santo. In questa retrospettiva vorrei ancora accennare in maniera riassuntiva all'orientamento implicito in tale tema. Tenendo presente la testimonianza della Scrittura e della Tradizione, si riconoscono facilmente quattro dimensioni del tema "Spirito Santo".
1. C'è innanzitutto l'affermazione che ci viene incontro dall'inizio del racconto della creazione: vi si parla dello Spirito creatore che aleggia sulle acque, crea il mondo e continuamente lo rinnova. La fede nello Spirito creatore è un contenuto essenziale del Credo cristiano. Il dato che la materia porta in sé una struttura matematica, è piena di spirito, è il fondamento sul quale poggiano le moderne scienze della natura. Solo perché la materia è strutturata in modo intelligente, il nostro spirito è in grado di interpretarla e di attivamente rimodellarla. Il fatto che questa struttura intelligente proviene dallo stesso Spirito creatore che ha donato lo spirito anche a noi, comporta insieme un compito e una responsabilità. Nella fede circa la creazione sta il fondamento ultimo della nostra responsabilità verso la terra. Essa non è semplicemente nostra proprietà che possiamo sfruttare secondo i nostri interessi e desideri. È piuttosto dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci e con ciò ci ha dato i segnali orientativi a cui attenerci come amministratori della sua creazione. Il fatto che la terra, il cosmo, rispecchino lo Spirito creatore, significa pure che le loro strutture razionali che, al di là dell'ordine matematico, nell'esperimento diventano quasi palpabili, portano in sé anche un orientamento etico. Lo Spirito che li ha plasmati, è più che matematica - è il Bene in persona che, mediante il linguaggio della creazione, ci indica la strada della vita retta.
Poiché la fede nel Creatore è una parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli soltanto il messaggio della salvezza. Essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico.
E facendolo deve difendere non solo la terra, l'acqua e l'aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere anche l'uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell'uomo, intesa nel senso giusto. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell'essere umano come uomo e donna e chiede che quest'ordine della creazione venga rispettato. Qui si tratta di fatto della fede nel Creatore e dell'ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un'autodistruzione dell'uomo e quindi una distruzione dell'opera stessa di Dio. Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine "gender", si risolve in definitiva nella autoemancipazione dell'uomo dal creato e dal Creatore. L'uomo vuole farsi da solo e disporre sempre ed esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità, vive contro lo Spirito creatore. Le foreste tropicali meritano, sì, la nostra protezione, ma non la merita meno l'uomo come creatura, nella quale è iscritto un messaggio che non significa contraddizione della nostra libertà, ma la sua condizione. Grandi teologi della Scolastica hanno qualificato il matrimonio, cioè il legame per tutta la vita tra uomo e donna, come sacramento della creazione, che lo stesso Creatore ha istituito e che Cristo - senza modificare il messaggio della creazione - ha poi accolto nella storia della salvezza come sacramento della nuova alleanza. Fa parte dell'annuncio che la Chiesa deve recare la testimonianza in favore dello Spirito creatore presente nella natura nel suo insieme e in special modo nella natura dell'uomo, creato ad immagine di Dio. Partendo da questa prospettiva occorrerebbe rileggere l'Enciclica Humanae vitae: l'intenzione di Papa Paolo vi era di difendere l'amore contro la sessualità come consumo, il futuro contro la pretesa esclusiva del presente e la natura dell'uomo contro la sua manipolazione.
2. Solo qualche ulteriore breve accenno circa le altre dimensioni della pneumatologia. Se lo Spirito creatore si manifesta innanzitutto nella grandezza silenziosa dell'universo, nella sua struttura intelligente, la fede, oltre a ciò, ci dice la cosa inaspettata, che cioè questo Spirito parla, per così dire, anche con parole umane, è entrato nella storia e, come forza che plasma la storia, è anche uno Spirito parlante, anzi, è Parola che negli Scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento ci viene incontro. Che cosa questo significhi per noi, l'ha espresso meravigliosamente sant'Ambrogio in una sua lettera: "Anche ora, mentre leggo le divine Scritture, Dio passeggia nel Paradiso" (Ep. 49, 3). Leggendo la Scrittura, noi possiamo anche oggi quasi vagare nel giardino del Paradiso ed incontrare Dio che lì passeggia: tra il tema della Giornata Mondiale della Gioventù in Australia e il tema del Sinodo dei Vescovi esiste una profonda connessione interiore. I due temi "Spirito Santo" e "Parola di Dio" vanno insieme. Leggendo la Scrittura apprendiamo però anche che Cristo e lo Spirito Santo sono inseparabili tra loro. Se Paolo con sconcertante sintesi afferma: "Il Signore è lo Spirito" (2 Cor 3, 17), appare non solo, nello sfondo, l'unità trinitaria tra il Figlio e lo Spirito Santo, ma soprattutto la loro unità riguardo alla storia della salvezza: nella passione e risurrezione di Cristo vengono strappati i veli del senso meramente letterale e si rende visibile la presenza del Dio che sta parlando. Leggendo la Scrittura insieme con Cristo, impariamo a sentire nelle parole umane la voce dello Spirito Santo e scopriamo l'unità della Bibbia.
3. Con ciò siamo ormai giunti alla terza dimensione della pneumatologia che consiste, appunto, nella inseparabilità di Cristo e dello Spirito Santo. Nella maniera forse più bella essa si manifesta nel racconto di san Giovanni circa la prima apparizione del Risorto davanti ai discepoli: il Signore alita sui discepoli e dona loro in questo modo lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il soffio di Cristo. E come il soffio di Dio nel mattino della creazione aveva trasformato la polvere del suolo nell'uomo vivente, così il soffio di Cristo ci accoglie nella comunione ontologica con il Figlio, ci rende nuova creazione. Per questo è lo Spirito Santo che ci fa dire insieme col Figlio: "Abba, Padre!" (cfr. Gv 20, 22; Rm 8, 15).
4. Così, come quarta dimensione, emerge spontaneamente la connessione tra Spirito e Chiesa. Paolo, in Prima Corinzi 12 e in Romani 12, ha illustrato la Chiesa come Corpo di Cristo e proprio così come organismo dello Spirito Santo, in cui i doni dello Spirito Santo fondono i singoli in un tutt'uno vivente. Lo Spirito Santo è lo Spirito del Corpo di Cristo. Nell'insieme di questo Corpo troviamo il nostro compito, viviamo gli uni per gli altri e gli uni in dipendenza dagli altri, vivendo in profondità di Colui che ha vissuto e sofferto per tutti noi e che mediante il suo Spirito ci attrae a sé nell'unità di tutti i figli di Dio. "Vuoi anche tu vivere dello Spirito di Cristo? Allora sii nel Corpo di Cristo", dice Agostino a questo proposito (Tr. in Jo. 26, 13).
Così con il tema "Spirito Santo", che orientava le giornate in Australia e, in modo più nascosto, anche le settimane del Sinodo, si rende visibile tutta l'ampiezza della fede cristiana, un'ampiezza che dalla responsabilità per il creato e per l'esistenza dell'uomo in sintonia con la creazione conduce, attraverso i temi della Scrittura e della storia della salvezza, fino a Cristo e da lì alla comunità vivente della Chiesa, nei suoi ordini e responsabilità come anche nella sua vastità e libertà, che si esprime tanto nella molteplicità dei carismi quanto nell'immagine pentecostale della moltitudine delle lingue e delle culture.
Parte integrante della festa è la gioia. La festa si può organizzare, la gioia no. Essa può soltanto essere offerta in dono; e, di fatto, ci è stata donata in abbondanza: per questo siamo riconoscenti. Come Paolo qualifica la gioia frutto dello Spirito Santo, così anche Giovanni nel suo Vangelo ha connesso strettamente lo Spirito e la gioia. Lo Spirito Santo ci dona la gioia. Ed Egli è la gioia. La gioia è il dono nel quale tutti gli altri doni sono riassunti. Essa è l'espressione della felicità, dell'essere in armonia con se stessi, ciò che può derivare solo dall'essere in armonia con Dio e con la sua creazione. Fa parte della natura della gioia l'irradiarsi, il doversi comunicare. Lo spirito missionario della Chiesa non è altro che l'impulso di comunicare la gioia che ci è stata donata. Che essa sia sempre viva in noi e quindi s'irradi sul mondo nelle sue tribolazioni: tale è il mio auspicio alla fine di quest'anno. Insieme con un vivo ringraziamento per tutto il vostro faticare ed operare, auguro a tutti voi che questa gioia derivante da Dio ci venga donata abbondantemente anche nell'Anno Nuovo.
Affido questi voti all'intercessione della Vergine Maria, Mater divinae gratiae, chiedendoLe di poter vivere le Festività natalizie nella letizia e nella pace del Signore. Con questi sentimenti a voi tutti e alla grande famiglia della Curia Romana imparto di cuore la Benedizione Apostolica

segunda-feira, 17 de novembro de 2008

sábado, 8 de novembro de 2008

Edmundo Pedro (Público, 8/11/2008, pp.12-13)

Aparelho do PS "esvazia a participação dos militantes"08.11.2008, Maria José Oliveira e São José Almeida

O rapaz que inaugurou o Tarrafal esteve preso várias vezes. Edmundo Pedro mantém a coragem. E quer explicações sobre o 25 de Novembro

Edmundo Pedro, descendente de uma linhagem de resistentes antifascistas, iniciou a sua luta política nos primeiros anos do Governo de António de Oliveira Salazar. Tinha 13 anos. Desde então, não deu tréguas ao combate contra o regime autoritário de Salazar e de Marcelo Caetano - aos 16 anos foi preso pela primeira vez (esteve no Aljube e em Peniche); a segunda detenção aconteceu em 1935 e prolongou-se até 1945 (em 1936 foi inaugurar, juntamente com o seu pai, Gabriel Pedro, o Campo do Tarrafal, em Cabo Verde, de onde tentou organizar uma fuga); e entre 1962 e 1965 viveu novamente encarcerado, na sequência do Golpe de Beja.

Depois do 25 de Abril continuou a lutar pela consolidação da democracia, apesar de ter sido preso durante seis meses. Ainda hoje o faz.

Porque continua "fiel às ideias" que enlevaram a sua juventude - "nunca perdi a inspiração da juventude" - e porque quer batalhar contra o "clientelismo" e contra o "aparelhismo" que tomou conta do seu partido, o PS, ao qual aderiu em 1973, depois de ter abandonado o PCP em 1945 e feito um "corte radical com o projecto marxista" na sequência da invasão e ocupação pela URSS da Checoslováquia, em 1968. "Aí percebi tudo. A liberdade era algo fundamental."

Edmundo Pedro completa hoje 90 anos - a celebração será num almoço de amigos, no Espaço Tejo, em Lisboa - e o seu discurso confirma que não perdeu o espírito resistente nem a intrepidez que emergiram nos seus anos de juventude. Pedro pugna hoje por tentar "modificar as coisas" no PS. Enquanto militante histórico dos socialistas, olha para o partido com muito pessimismo e algum desalento. "É um aparelho de funcionários", começa por definir.

"Há um aparelho que esvazia a participação dos militantes, que se auto-reproduz porque tem o poder de distribuir lugares, tem o poder do poder." Perante isto, admite que é "difícil" alterar a estrutura socialista. E recorda os anos em que as palavras "participação política" tinham um outro significado: "Apareciam militantes generosos que se entregavam com convicção àquilo que o partido representava e ao seu papel na sociedade, e hoje já não é assim - a maior parte procura o seu furo".

Desgostado com o peso do "aparelho" no interior do PS, Edmundo Pedro votou em branco nas recentes eleições para as federações socialistas. "Fui votar, mas em branco", diz, denotando que não tinha outra alternativa.

Também o estado do país o deixa insatisfeito. "Esperava mais da democracia", aponta, frisando que o Governo PS "substitui-se à direita" e fez avançar medidas que "talvez não fossem necessárias e que descredibilizaram o partido".

"Maltratado" pelo PCP

As críticas de Edmundo Pedro não se restringem ao PS. Também o PCP, partido a que pertenceu desde muito jovem, não é poupado a acusações. Que arrastam consigo fortes críticas ao país. "O PCP tem ainda algum peso por causa do subdesenvolvimento do país. Não tenho dúvidas sobre isso", afirma, arguindo que uma democracia "só pode evoluir e tornar-se autêntica se o nível cultural e a participação do povo forem elevados".

Notando que o PCP é "um caso único na Europa", devido aos seus resultados eleitorais, Edmundo Pedro diz que "a base do PCP é gente que não pensa, não critica, não observa e está fanatizada".

Os primeiros indícios de uma eventual cisão com o PCP aconteceram quando Edmundo Pedro estava preso no Tarrafal e foi suspenso por dois anos por ter tentado fugir da colónia penal: "Fui bastante maltratado pelo partido". "Isto foi um trauma difícil de calcular. Só quem está dentro do partido, quem sente que está a desempenhar um papel altamente importante, alguém que sente que está na vanguarda da luta por um mundo melhor, que se dedica inteiramente a essa ideia e que está disposto a morrer por ela... E depois apanhei com aquela suspensão..."

Apesar dos golpes que sofreu, vindos do PCP (detalhadamente explicados no seu livro Memórias - um combate pela liberdade), Edmundo Pedro foi sempre "fiel às ideias de uma democracia completa". Ao contrário de Álvaro Cunhal, que, "ao longo do tempo, evoluiu para um projecto que não tinha nada a ver com isso". E não o surpreendeu a multidão de milhares de pessoas que acompanharam o funeral da figura mais emblemática do PCP, em Junho de 2005.

"Ele fez o testamento para o seu funeral. Queria que fossem todos os camaradas e mais ninguém. Ao dizer isso, apelou, implicitamente, a uma mobilização geral. Foi uma coisa fabulosa preparada por ele. Quando a burguesia nacional perdeu o 'cagaço' do PC, via Cunhal como o homem mais coerente do país. Transformou-se no símbolo da honestidade e da coerência. É um fenómeno curioso."


À espera da retractação de Eanes, 33 anos depois

08.11.2008 Três décadas depois de ter passado indevidamente seis meses preso, em 1978, por se ter disposto a dar a cara pela defesa da democracia em 1975, Edmundo Pedro espera hoje ouvir Ramalho Eanes reconhecer que lhe deu armas nas vésperas do 25 de Novembro e explicar o seu destino.

É com expectativa que garante que Eanes, antigo Presidente, vai estar no almoço e que lhe prometeu esclarecer e assumir a história das armas que o levaram à prisão. Outro discurso que aguarda é o de Vasco Lourenço que, à época dos factos, desconhecia a verdadeira origem das G3 que estavam na posse de Edmundo Pedro. Uma história que o próprio recorda com amargura ao PÚBLICO.

"Aqui, em minha casa, ele [Eanes] prometeu entregar-me 150 metralhadoras G3 no caso de a situação política evoluir para algum confronto", afirma Edmundo Pedro, prosseguindo: "O Manuel Alegre era o responsável político pela segurança do partido [PS] e eu, junto dele, era o responsável operacional. Tinha feito um levantamento dos militares, muitos oficiais, sargentos, cabos, que tinham experiência de guerra por terem vindo do Ultramar e eram cerca de 150 pessoas. O Eanes perguntou-me: 'Com quantas pessoas é que se pode contar no caso de confronto com a extrema-esquerda e vocês poderem desempenhar um papel junto das Forças Armadas?'. Eu disse-lhe: '150 homens'. Então, disse ele: 'Eu garanto-lhe 150 armas".

Na noite de 25 de Novembro, Pedro recebeu a indicação "para ir a Cascais buscar aquelas armas". Levava consigo "quatro ou cinco pessoas, um carro e intercomunicadores"; dirigiram-se ao CIAC de Cascais". Aí, após a apresentação de senhas, "um jipe saiu com as armas" e seguiram "até Bicesse, perto do Estoril". Relata Pedro: "Entrámos numa vivenda com um corredor que ia ter a uma garagem. E nessa vivenda fez-se o transbordo das armas. Trouxemos as armas para Lisboa, embora algumas tenham ficado logo em Cascais".

Três anos mais tarde, quando a democracia seguia o seu rumo, e Edmundo Pedro era presidente da RTP, deputado com mandato suspenso e membro do Secretariado do PS, foi preso no armazém de uma empresa de componentes de electrónica em Almada, propriedade de uma firma de sua mulher. Fora procurado pelas autoridades em Lisboa.

Quando percebeu o que se passava, dirigiu-se ao armazém para entregar as armas e assumir a verdade. Foi preso em flagrante delito e ficou detido seis meses até se esclarecer a situação. Para os jornais, a história que passou foi a de que tinha sido apanhado também por contrabando de electrodomésticos. E conclui: "As armas acabaram por não ser necessárias. Mas o que complicou a minha situação foi que o Eanes encobriu".

"Na altura ninguém assumiu a proveniência das armas por razões políticas", afirma, explicando: "O Vasco Lourenço é que foi o responsável operacional do 25 de Novembro, não foi o Eanes. O Eanes agiu sob a direcção do Vasco Lourenço. (...) Havia essa tensão [entre eles]. E o Eanes não contou ao Vasco Lourenço sobre as armas. O Vasco Lourenço já me disse que se tivesse sabido antes eu não ficava preso nem um dia".
Foi julgado e libertado, mas sem que ninguém assumisse responsabilidades. "No julgamento, disse que tudo tinha sido da minha responsabilidade e não envolvi ninguém. Disse que o PS não tinha nada a ver com isso. Embora o teor do comunicado do PS tenha sido uma vergonha. Mas eu compreendo a atrapalhação - eu tinha aquela responsabilidade toda, o escândalo foi enorme. Mário Soares já confessou que isto tinha desorientado a direcção do partido."

Em tom de mágoa, diz: "Era fácil defender-me, o partido podia fazê-lo sem se comprometer". Sobre a fama que se lhe colou como uma segunda pele (o contrabando de electrodomésticos), diz: "Isso era um absurdo. Era uma empresa de electrónica pura, com uma oficina muito competente".

Quanto a Eanes, apenas afirma a sua expectativa para hoje e relata uma conversa que mantiveram sobre o assunto: "Eanes disse-me: 'Sabe, eu deixei-me influenciar por aquela campanha da imprensa'. E eu disse: 'Mas nunca houve uma única referência aos electrodomésticos por parte dos juízes. O senhor devia ter-se informado'." São José Almeida e Maria José Oliveira


Um intemerato combatente contra a Ditadura

08.11.2008, Mário Soares Sou suspeito ao falar de Edmundo Pedro porque sou seu amigo e camarada há cerca de cinquenta anos. No entanto, feita a prevenção, não quero faltar com o meu testemunho.

Edmundo Pedro foi toda a vida - desde muito jovem - um intemerato combatente contra a Ditadura e em favor da justiça social e da liberdade. Foi comunista na sua juventude - em grande parte passada no Campo de Concentração do Tarrafal - como eu também fui, era o ar do tempo, mas quando regressou à vida normal, depois de dez anos de prisão, no choque do pós-guerra e das purgas ordenadas por Estaline, nas Democracias Populares, deixou o PCP - ou foi expulso, é o mesmo - e fez uma longa reflexão, como autodidacta formado na escola da prisão e da vida, até à sua adesão ao recém--criado PS.

Durante esse tempo de travessia do deserto foi um conspirador constante contra o regime de Salazar e de Caetano, tendo participado na tentativa revolucionária de Beja - entre outras - que o levaria a outra longa prisão.

Após a Revolução dos Cravos tornou-se um dirigente do PS e bateu-se sempre em favor da Liberdade e das Boas Causas.

Na juventude dos seus 90 anos, lúcido e reflexivo sobre o futuro, publicou vários livros, entre os quais as suas Memórias, que tive a honra de prefaciar, a seu pedido.
Há ainda muito a esperar de Edmundo Pedro. Resta-me desejar-lhe - e à sua Família - saúde e actividade, na fidelidade às suas convicções de sempre.

Lisboa, 7 de Novembro de 2008


terça-feira, 13 de maio de 2008

"Adeus socialismo"?

13.05.2008, Vital Moreira

Os partidos socialistas há muito abdicaram do "socialismo económico", mas os ideais socialistas nunca se limitaram a isso

No seu último artigo no Diário Económico, intitulado "Adeus socialismo", o filósofo social João Cardoso Rosas defende que as ideias socialistas caducaram no mundo de hoje, mesmo para as correntes políticas que se reclamem delas, dada a conversão universal ao capitalismo de mercado. Sem ser inédita nem destituída de aparente sentido, a tese não é, porém, convincente.

Em primeiro lugar, o "socialismo democrático" não se afundou juntamente com o desabamento quase universal do comunismo há duas décadas. Desde a dissidência leninista a seguir à revolução russa de 1917, que deu origem à cisão do movimento socialista e à criação dos partidos comunistas em numerosos países, foi sempre óbvia a diferença entre o "socialismo socialista" e o "socialismo comunista", quer quanto ao modo de transformação social, quer quanto ao modelo da sociedade socialista a erigir. Como é bom de ver, a queda do Muro de Berlim significa metaforicamente "adeus Lenine" e o fim do comunismo, mas não afecta essencialmente o socialismo democrático, que aliás viu vindicada a sua crítica histórica ao leninismo e ao socialismo soviético.

Em segundo lugar, foi muito antes do fim do comunismo que os partidos socialistas e social-democratas - a começar com o SPD alemão, no célebre congresso de Bad Godesberg de 1959 - abandonaram a ideia da "economia socialista", enquanto sistema económico alternativo ao capitalismo, baseado na "socialização" generalizada dos meios de produção. Aliás, isso mesmo resulta da adesão de todos eles à UE, desde o início baseada numa "economia de mercado assente na livre concorrência" (como estabelece o Tratado de Roma, de 1957). O próprio Partido Socialista francês, um dos mais conservadores nesse aspecto, acaba de propor uma nova declaração de princípios onde não existe o mais leve traço de socialismo económico, substituído pela adesão a um projecto de "economia ecologista e social de mercado". Por isso, hoje ninguém espera, ou teme, que um governo socialista desate a fazer nacionalizações a eito. Portanto, não há nenhum engano ou equívoco quanto a esse ponto.

Por último, mas não menos importante, apesar do abandono da "economia socialista" pelas correntes e partidos socialistas na actualidade, não é ilegítimo que conservem a antiga denominação, dado que continuam a lutar pelas suas principais bandeiras na esfera social, designadamente direitos sociais, inclusão social, coesão social, Estado social, enfim, justiça social. Essa "marca de água" das ideias e dos partidos socialistas permanece. Liberal na política e nos costumes, mas agora também na economia, o socialismo contemporâneo continua porém a ser caracterizado pelos seus objectivos de maior igualdade e justiça social, que se reflecte em especial na política social, na política fiscal, na política educativa, nas "políticas afirmativas" de igualdade, etc.

Em suma, os partidos socialistas há muito abdicaram do "socialismo económico", mas os ideais socialistas nunca se limitaram a isso. Por isso, dizer "adeus ao socialismo" seria, por um lado, redundante e, por outro lado, injustificado.



É evidente que não existe equivalência absoluta entre esquerda e socialismo. A noção de esquerda é um conceito relativo, tendo como contraposição a direita, num continuum posicional gradativo que vai desde a extrema-direita à extrema-esquerda. Já a noção de socialismo tem a ver com objectivos identificados de transformação e de justiça social, pelo que tem um sentido mais preciso e menos relativo, embora se possa ser mais ou menos socialista. Pode, portanto, haver uma esquerda não socialista, que, defendendo embora tradicionais valores de esquerda - como a igualdade, a democracia participativa, a laicidade do Estado, a escola pública, a liberdade dos costumes, etc. -, não compartilhe, porém, dos objectivos sociais típicos do socialismo.
Todavia, embora a hipótese de uma esquerda não socialista não seja irrealista, com mostra o caso do Partido Democrata nos Estados Unidos, partido de esquerda liberal sem grandes traços socialistas - ressalvadas as políticas sociais de presidentes democratas como Roosevelt, Johnson, Kennedy e Clinton -, já na Europa, por razões ligadas às suas tradições políticas e culturais, bem como às vicissitudes da sua história económica e social, não se afigura sustentável uma esquerda politicamente relevante fora do quadro socialista. O recente insucesso do novel Partido Democrata italiano, aliás herdeiro do antigo Partido Comunista italiano, que tentou emular o paradigma norte-americano (até no nome), revela os limites da reconstrução política à esquerda com abandono da herança e dos referenciais socialistas.

Sem dúvida que os partidos socialistas e social-democratas em geral, sobretudo os de evocação governamental, estão a passar por um processo de modernização que inclui a adopção de muitos valores alheios à tradição socialista, desde a conversão à economia de mercado e à concorrência até à liberalização das utilities, desde a disciplina monetária e financeira até à "nova gestão pública", desde o valor da segurança pública até à competitividade empresarial. Mas, para além dos bons fundamentos desta modernização - que, em geral, não é de esquerda nem de direita, mas apenas exigência de bom governo -, nada disso exige o abandono dos traços propriamente socialistas da esquerda. Pelo contrário, sem bom desempenho económico e sem eficiência na gestão pública não pode haver margem para políticas sociais de esquerda.

E, acima de tudo, a realidade política mostra que, para além de injustificado, o abandono das ideias e propostas socialistas teria por consequência deixar à extrema-esquerda o monopólio de um património de representações e de referências que pertencem à memória e à identidade da esquerda socialista, e cujo valor ainda não se esvaiu. Professor universitário

sexta-feira, 9 de maio de 2008

«Blogues e religião»

Rui Almeida
In: Ecclesia, nº 1145, 29 de Abril de 2008, pp. 38-39.

Quem poderia imaginar há dez anos um jornal de parede que pudesse ser lido em qualquer parte do mundo? Ou uma mesa de café onde se pudessem juntar milhares de pessoas? O testemunho da fé passa por este meio que encurta distâncias.


No princípio era o blogspot

Annus domini 2003: Portugal é invadido pelos blogues. As primeiras entradas centram-se sobretudo no debate político. Depressa entram online novos temas – ciência, cultura e até questões mais banais e pessoais. Afinal um blogue é o terreno onde um autor cultiva o que bem entender.
Na reflexão religiosa, é a comunidade evangélica que primeiro se faz notar. O destaque tem que ir para Tiago de Oliveira Cavaco, a “Voz do Deserto”, que se mantém uma referência na blogosfera portuguesa. Desta voz nasce um primeiro coro, o blogue colectivo “Os Animais Evangélicos”, estrela de apenas alguns meses no cyberespaço, nem por isso pouco brilhante, ao mostrar uma parte do debate interno dos cristãos reformados. Apagou-se, não sem antes provocar a reacção de católicos para uma plataforma semelhante, “A Terra da Alegria”, espaço que se abriu a diferentes sensibilidades religiosas e até a pessoas sem religião.
Fora do âmbito cristão, podemos encontrar blogues de relevo, como a “Rua da Judiaria”, de Nuno Guerreiro Josué, judeu português a viver nos EUA, ou o “Povo de Bahá”, de Marco Oliveira, onde a história e as especificidades dessa fé se cruzam com a reflexão sobre as questões religiosas em geral, de um modo fundamentado e informado.


O Evangelho segundo a Blogosfera

Não é possível apontar um blogue católico de referência, mas há em www inúmeras sensibilidades e formas de acção com origem por todo o país.
José Manuel Pureza, apresenta-se no “Palombella Rossa” como “católico tresmalhado, com paixão pelo risco da fronteira e pela novidade quotidiana da vida” e lança desafios à Igreja e ao Mundo. Doutra perspectiva, em “A Casa de Sarto”, J. Sarto e Rafael Castela Santos, dão conta de razões e convicções, num “blogue católico tradicional, antimodernista e antiprogressista”.

Muitos pequenos grupos eclesiais já perceberam que estar online pode ser um contributo para a dinamização de comunidades.
No “FASrondas” (Famílias, Aldeias e Sem-abrigo), um grupo de jovens voluntários, ligado aos Jesuítas, divulga os trabalhos de acção social junto dos mais carenciados do Grande Porto.
Os antigos alunos do Seminário da Imaculada Conceição, da Figueira da Foz, criaram um ponto de encontro no espaço virtual, “Semintendes”.

Alguns padres já aderiram à blogosfera e utilizam-na como território de acção pastoral. Talvez o caso mais curioso seja o “Confessionário dum padre”, onde o dever de segredo se prolonga para a identidade do autor, para dar testemunho do trabalho de pároco e fomentar o debate. Também de interesse, é a ideia do Pe. Carlos, do Arciprestado de Celorico da Beira, na diocese da Guarda, que criou um blogue para cada uma das sete paróquias que tem a cargo.


Outras margens

O debate religioso na blogosfera vai para além das manifestações confessionais. Joana Lopes, durante muitos anos católica activa, agora afastada de qualquer convicção religiosa, manifesta, “Entre as brumas da memória”, um olhar atento também sobre os assuntos da fé. Já no “Diário Ateísta”, encontramos uma visão crítica e muitas vezes corrosiva da religião.
As questões inerentes ao fenómeno religioso não escapam à actualidade e é normal terem lugar em blogues de tendência política: o “Abrupto” de Pacheco Pereira, o “Arrastão” de Daniel Oliveira ou os colectivos “31 da Armada” ou “Cinco Dias”. Surgem a propósito do Médio Oriente, das caricaturas de Maomé, dos discursos de Bento XVI com referências ao Islão ou sobre as relações entre o Estado e a Igreja. Até o “De rerum natura”, da autoria de sete cientistas não escapa às questões religiosas.

Os blogues são mais uma porta, numa igreja que não se quer fechada.
http://vozdodeserto.blogspot.com
http://osanimaisevangelicos.blogspot.com
http://terradaalegria.blogspot.com
http://ruadajudiaria.com
http://povodebaha.blogspot.com
http://palombellarossa.blogspot.com
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http://semintendes.blogs.sapo.pt
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http://www.ateismo.net
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quinta-feira, 1 de maio de 2008

A Acção Católica em Portugal

A ACÇÃO CATÓLICA EM PORTUGAL
UM TESTEMUNHO

por Sidónio de Freitas Branco Paes (1925-2006)




N.B. - Este texto, que nunca foi publicado, foi facultado pelo autor a várias entidades, nomeadamente à Universidade Católica. Pô-lo à minha disposição para o uso que entendesse dar-lhe e serviu-me de base para a elaboração de um capítulo de Entre as Brumas da Memória («Batalhões de Cristo-Rei»).


1. Introdução: as quatro épocas da Acção Católica Portuguesa

Os organizadores da semana de estudos realizada em Lisboa, 1983, na Faculdade de Teologia da Universidade Católica Portuguesa, sobre o tema O cristão na Igreja e no Mundo, pediram-me para falar sobre A Acção Católica em Portugal, numa perspectiva histórica e teológica. Se a Acção Católica tem sido amplamente analisada numa óptica teológica, o mesmo não sucede quanto à sua história, no nosso país. É esta uma falta grave, porque a Acção Católica Portuguesa (ACP) foi uma instituição com larga projecção e que gerou um movimento de intervenção sócio-religiosa em Portugal, sobretudo desde 1933 a 1974. Não obstante, está por fazer a recolha completa e o tratamento científico do vasto espólio constituído por documentos e possíveis testemunhos pessoais, ameaçado de se perder, em parte, à medida que as testemunhas vão morrendo ou esquecendo.[1]

Não quis escusar-me a dar o meu contributo, muito embora mais não seja que a reflexão sobre uma experiência pessoal intensamente vivida. Faltam-me, com efeito, as qualificações requeridas para uma dissertação teológica, como para uma investigação histórica. Por isso e afim de avivar a memória e suprir carências de documentação, foram-me muito úteis os trabalhos de recolha e síntese do Padre António dos Santos (hoje Cónego) e do Secretariado Nacional do Apostolado dos Leigos.[2]

O texto dessa palestra, por minha culpa, não foi publicado na ocasião. Dele conservei o manuscrito sobre o qual falei, acrescentando então comentários de que não guardei registo. O presente testemunho, preparado mais de treze anos depois, resulta desse manuscrito, revisto e acrescido de mais recentes reflexões e de mais completas citações que então evitei. As últimas secções, correspondentes à década de 1960, quando desempenhei cargos de maior responsabilidade e participei mais intensamente na ACP, foram muito ampliadas. É dessa época fascinante e turbulenta do Concílio Vaticano II e da actualização da ACP que posso dar um testemunho mais desenvolvido e documentado, mas que a limitação do tempo não me permitiu na palestra de 1983. Neste trabalho de revisão e desenvolvimento foram-me preciosos o conselho e a memória do Padre Dr. Orlando Leitão e a documentação da ACP conservada no referido projecto liderado pelo Dr. Paulo Fontes.

Como outros organismos sociais, a ACP, na forma institucional com que foi concebida, teve uma infância e adolescência, uma idade madura, uma crise (ou várias) e um declínio que conduziu à nova forma, depois de 1974. É porém sempre muito arriscado traçar a demarcação de fronteiras entre períodos históricos, a menos que haja acontecimentos de mudança abrupta e bem definida. Se tomarmos, como sugere o Cónego António dos Santos, os meados dos anos 1940 para início da época de maturidade, pouco poderei testemunhar do período de arranque e de maturação. No entanto, em 1943, quando me inscrevi na JEC, e em 1947, quando me empenhei efectivamente como militante e dirigente diocesano da JUC, estava ainda bem vivo o espírito da arrancada inicial, no qual foi formada a primeira geração que emergiu depois da instituição da ACP.

Nas secções seguintes, mais do que relato histórico ordenado segundo as regras da arte, será questão sobretudo das minhas recordações durante uma aprendizagem e uma prática como militante deste grande movimento de apostolado dos leigos.


2. A época de criação da Acção Católica Portuguesa

A ACP foi fundada em Novembro de 1933, numa época de grande vitalidade, na sociedade civil como na Igreja.

No Mundo, vencida a grande crise de 1929, vivia-se um clima de acelerado progresso tecnológico e expansão económica, no auge da segunda revolução industrial. A revolução comunista triunfante na União Soviética, agora sob a liderança de Staline, operava as profundas transformações que formaram uma das grandes superpotências que bipolarizariam o Mundo até fins de 1989. Nos Estados Unidos da América, o New Deal emergente da crise abria o caminho para a outra superpotência mundial, enquanto a Inglaterra aínda sustentava a sua prosperidade no gigantesco Império Colonial, e outros países europeus lhe seguiam o rumo, em menor escala.

Noutra linha ideológica, a Alemanha avantajava-se com a tomada de poder pelo Nazismo, enquanto em Itália o Fascismo e em Portugal o Corporativismo acendiam tentações de reviver nacionalismos e grandezas imperiais passadas. Pouco depois, no desfecho da sangrenta guerra civil, Franco instaura em Espanha um regime que lhes é afim. Ao passo que o Japão, num pertinaz processo de modernização, vai alimentando aspirações expansionistas e aumentando o poder industrial e militar. No entanto, as estratégias imperialistas, as reivindicações sociais, as gritantes desigualdades entre nações a nível mundial agravavam as tensões que conduziriam à 2.ª Guerra Mundial, e aos subsequentes movimentos de descolonização.

A Igreja também vivia uma fase intensa de renovação interna e afirmação externa. Após os ataques cerrados sofridos no século XIX e princípios do século XX, com a crescente descristianização das sociedades tradicionalmente católicas, os pontificados de Pio IX, Leão XIII, Pio X e Pio XI, com suas encíclicas sociais e de vivificação espiritual, a criação de numerosas obras religiosas e caritativas, o impulso imprimido por muitos bispos, pensadores e homens de acção granjeavam à Igreja renovado prestígio, agora mais assente na força espiritual do que no poder temporal.

Em Portugal, depois da hostilização de intelectuais e políticos do fim da Monarquia, e das reformas e perseguições após a proclamação da República, iniciara-se o revigoramento da Igreja. A figura central desse movimento era, sem dúvida, o Cardeal-Patriarca de Lisboa, D. Manuel Gonçalves Cerejeira, secundado por um número crescente de bispos e sacerdotes; mas nessa obra também participavam cristãos leigos, formados e activos em diversas instituições fundadas sobretudo desde o início do século, como o Centro Académico de Democracia Cristã (CADC, fundado em 1901, cujo nome era bem significativo das tendências ideológicas de então), a Liga da Acção Social Cristã (obra feminina criada em 1902, que toma este nome em 1907), a Juventude Católica Lisbonense (1908), a Federação das Juventudes Católicas Portuguesas (1913), o Centro Católico Português (1919, com o objectivo de defesa legal dos direitos da Igreja), o Corpo Nacional de Escutas (1923), a Juventude Católica Feminina (1924), a Associação dos Médicos Católicos, a Associação dos Jurisconsultos Católicos, os Círculos Católicos Operários (activos em várias dioceses); e obras de piedade, caridade e beneficência vindas em geral do estrangeiro desde meados do século XIX, como o Apostolado da Oração (1864), as Conferências de S. Vicente de Paulo (1884), a União Noelista Portuguesa (1913), a Obra de Protecção às Raparigas (1916).[3]

As aparições de Fátima, ocorridas de Maio a Outubro de 1917 (um ano antes do fim da Grande Guerra), a sua mensagem espiritual (com um laivo de ideologia política, no anúncio da conversão da Rússia) e o desenvolvimento do seu santuário como polo de atracção religiosa, a renovação pedagógica e espiritual dos seminários, a expansão da imprensa periódica e das edições católicas, a referida multiplicação das obras católicas, mobilizando e formando um crescente número de leigos para diversas formas de apostolado, constituíam sinais de vitalidade. E o novo regime político autoritário, liderado por Salazar (católico, eis seminarista e antigo dirigente do CADC), não só tolerava esta acção de revigoramento, como procurava aproveitá-la para reforço do seu poder sobre a sociedade portuguesa.

E no entanto, esta Igreja animada de nova pujança sentia-se ainda ameaçada pela cultura envolvente, pelas grandes correntes de ideias agnósticas, vindas do século XIX ou mesmo já do século XX – o liberalismo, o positivismo, o laicismo, o materialismo (quer dialéctico marxista-leninista, quer simplesmente prático) –, hostilizada por organizações poderosas, como a Maçonaria, e impedida de penetrar (por meio dos sacerdotes) nos meios sociais mais influentes (políticos, intelectuais, operários).


3. O conceito de Acção Católica e sua novidade

O conceito de Acção Católica, inventado por Pio XI com alegada inspiração divina, é marcado pela influência destas realidades vividas na Igreja e no Mundo. Segundo a célebre fórmula forjada pelo mesmo Papa, em 1931, «a Acção Católica é a participação do laicado no apostolado hierárquico da Igreja»[4] ; ou, numa mais desenvolvida explicação, é «a participação dos leigos católicos no apostolado hierárquico, para defesa dos princípios religiosos e morais, para o desenvolvimento duma sã e benéfica acção social, sob a direcção da Hierarquia Eclesiástica, fora e acima dos partidos políticos, no intento de restaurar a vida católica na família e na sociedade.»[5]

Estas definições, contendo todos os traços essenciais da nova instituição, deram azo a diversos tipos de organização. Em Portugal, o Episcopado seguiu os modelos italiano e belga, isto é, concebeu a ACP como uma estrutura unitária, envolvente e moderna.

Lendo as Bases Orgânicas e os Estatutos das Organizações e dos Organismos Especializados (revistos e unificados por volta de 1945), bem como o Manual da Acção Católica Portuguesa publicado em fins de 1935 (numa tradução do original italiano de Monsenhor Luis Civardi), fica-se impressionado pela amplitude e novidade do conceito:

1º) A ACP é criada pela Hierarquia Eclesiástica, mas como uma associação do laicado, isto é de todos os católicos leigos, organizados para cooperarem no apostolado da Igreja, mediante um mandato do Episcopado, entendido como prolongamento parcial do mandato global de Cristo aos Apóstolos. Em consequência, os Dirigentes da ACP são leigos, enquanto os Assistentes Eclesiásticos são apenas vigilantes e garantes da ortodoxia doutrinária, educadores e conselheiros dos leigos.[6]

2º) A ACP é uma estrutura nova na Igreja, com carácter nacional, supra-diocesano e extra-paroquial, embora articulada com as dioceses e as paróquias, conforme a organização tradicional da Igreja.

3º) A ACP tem carácter global, abrange toda a sociedade – os Organismos Especializados baseiam-se e dirigem-se aos diversos meios sociais – agrário ou rural, escolar, independente, operário e universitário (incluindo Associações Profissionais), às idades juvenil e adulta, e aos dois sexos (ver organograma junto).

4º) Os Organismos Especializados são coordenados a nível diocesano e nacional, pelas quatro Organizações (relativas às duas idades e aos dois sexos), pelas Juntas Diocesanas e no topo pela Junta Central, com o objectivo de assegurar uma orientação una e uma acção concorde: cor unum et anima una – era o lema da ACP.

5º) São criados quatro órgãos técnicos coordenadores, os Secretariados Económico-Social, de Cultura, Propaganda e Imprensa, do Cinema e da Rádio, de Coordenação das Obras Auxiliares.

6º) Enquanto se reconhece a necessidade de organizar os leigos e de lhes conferir um mandato eclesiástico, para que por meio deles a Igreja possa cumprir melhor a sua missão apostólica, nas sociedades modernas, recorre-se a um método objectivo de apostolado – ver, julgar e agir –, baseado na revisão de vida dos cristãos leigos, na família, na profissão, na sociedade.

Assim, a da ACP inspira-se em conceitos modernos de organização, define-se como movimento de massas e recorre às técnicas e aos meios de propaganda então usados na
sociedade civil.

Para dar uma ideia do espírito militante com que foi criada, a Acção Católica era tida como um exército de «reconquista cristã», nas linhas avançadas onde o clero já dificilmente penetrava. E consequentemente o seu objectivo de restauração do status da Igreja e de recristianização da sociedade portuguesa era apresentado como uma cruzada nacional. Qual insígnia desta missão, aí estava o hino da ACP, cuja música lembrava A Marselhesa, mas transposta para o modo menor, o que lhe conferia um toque de fado, e o tornava uma espécie de sinal contra-revolucionário. E cuja letra (julgo que da autoria do Padre Moreira das Neves, poeta por assim dizer oficial da Igreja e jornalista que viria a ser Chefe de Redacção de Novidades, o diário do Episcopado) estava repassada de um inequívoco espírito militarista, patriótico e triunfalista, então muito em moda. Eis esses versos, que se cantavam em todas as reuniões, festas e actos públicos da ACP:

Abram alas, terra em fora,
Por entre frémitos de luz.
Deus nos chama é nossa a hora,
Alerta pela Cruz!
Almas bravas de soldados,
Senhor, já surgem de além,
E há caminhos não andados
Que esperam por alguém.

Em nós, acendei em nós, ó Deus,
Flamas de um nobre ideal
Clarins, vibrem clarins nos
Por amor de Portugal.

Quem avança a conquistar troféus
Luta por bem da Grei
Lutai a cantar, de olhar em Deus,
Batalhões de Cristo-Rei!

Este mesmo espírito era expresso, ao mais alto nível, pelo Director Nacional da Acção Católica Portuguesa que a Conferência Episcopal nomeara, o Cardeal Patriarca de Lisboa, D. Manuel Gonçalves Cerejeira, numa homilia logo após a recepção de uma extensa carta doutrinária de Pio XI aprovando e louvando a organização da ACP, homilia escrita naquele estilo de inconfundível recorte literário do Senhor Patriarca (como era chamado na intimidade), de que cito extensos passos:

«Que é afinal a Acção Católica?
Definiu-a o glorioso Pontífice nestes precisos termos: a participação do laicado católico no apostolado hierárquico. É uma missão sacerdotal agora confiada duma maneira oficial aos leigos, que S. Pedro tão justamente chama "a raça escolhida, um sacerdócio real".
Trata-se de levantar em toda a parte o exército de Deus. Unir, organizar e mobilizar todos os que acreditam que Deus falou por Cristo e Cristo fala pela Igreja aos homens – a fim de estender no mundo o reinado social de Nosso Senhor.
Esta união militante forma-se em volta dos báculos pastorais dos Chefes escolhidos por Cristo: os Bispos. Não há outros na Igreja cristã com pleno poder de dirigir e governar. União tão ampla como a Igreja: abraça o universo inteiro. Todos os interesses de Deus cabem nela.
União sob um comando nacional supremo. Pela cooperação de todos multiplica-se o trabalho de cada um.
Exército apostólico para quê? Para tomar a ofensiva da reconquista cristã.
Desde há séculos os católicos, na sua grande massa, se têm limitado à defensiva, perdendo terreno. A Renascença laicizou a cultura; a Revolução, o Estado e a sociedade. Hoje é a laicização total do indivíduo que de diversas formas se pretende e tenta.
A conclusão deste facto é a repaganização da vida humana, com todo o seu cortejo de misérias e abjecções. A Venus impura, que os próprios antigos disseram ser cruel e triste, disputa já o culto à Virgem Puríssima, que deu Cristo ao mundo, em Cristo a fonte da luz divina que o alumia, e da santidade que o enobrece, e da esperança que o alegra»
.[7]

E, sobre o Boletim da Acção Católica Portuguesa, assim escrevia o mesmo Director Nacional:

«
O Boletim será o clarim de comando. Transmitirá fielmente as ordens de serviço, estabelecerá o contacto entre todas as linhas de formação, manterá o moral nas forças de assalto, chamará a todos os soldados de Cristo ao bom combate.
O seu tema é: por Deus, por Cristo, pela Igreja! E sendo por Deus, Cristo e a Igreja, é por Portugal – visto que as nações como os homens só na Igreja, que é a voz de Cristo, e em Cristo, que é a voz de Deus, encontram a revelação do seu destino e missão»
.[8]

Facilmente então se confundia o conceito de apostolado com o de cruzada, imbuído de analogias militares: a Acção Católica eram os «batalhões de Cristo-Rei», a restauração cristã da sociedade conduziria a uma civilização cristã, de que também falava, noutro sentido, Salazar. E até a associação de benemerência criada para recolha de fundos financeiros para a ACP se chamava, significativamente, Pia União dos Cruzados de Fátima.


4. Factores possíveis de fricção

No conceito de Acção Católica acima referido e neste espírito de militante que a animava, notam-se desde logo alguns factores susceptíveis de gerar tensões internas e externas que passo a enunciar e a analisar brevemente

As relações da Acção Católica com a Hierarquia Eclesiástica eram claras em teoria, mas delicadas na prática. Como participação (mais tarde preferiu-se dizer colaboração) no apostolado hierárquico, a Acção Católica não podia deixar de ficar sob controlo da Hierarquia. Era o Bispo (na sua Diocese) ou o Director Nacional (o Patriarca de Lisboa) a nível nacional que concediam o mandato aos dirigentes leigos, e os nomeavam nos níveis mais elevados (Direcções Nacionais e Diocesanas dos Organismos Especializados, presidentes das Juntas Central e Diocesanas), e o Pároco, a nível paroquial). Além disso a Hierarquia controlava as publicações e as acções de carácter público, por meio dos Assistentes Eclesiásticos que tinham poder de veto sobre as decisões das Direcções leigas. Citando de novo Mons. Civardi: «Os leigos militantes na Acção Católica não são, por conseguinte, chamados para trabalhar por iniciativa própria, mas para ajudar a Hierarquia, na medida das suas forças». Assim, a Acção Católica via-se por vezes considerada como o «braço longo da Hierarquia» e esta natureza instrumental não era de molde a motivar (nem mesmo a dignificar) o exercício do mandato.

Derivado deste status podiam surgir tensões entre os sacerdotes e os leigos, na direcção dos diversos órgãos da ACP. Sobretudo nesta fase inicial de formação de estruturas e dirigentes, os Assistentes Eclesiásticos tendiam a assumir a direcção efectiva. A possível confusão de competências aparecia mesmo na referida carta pastoral dirigida por Pio XI ao Director Nacional, em 1933, como se vê deste excerto: «Mas para que ela (a ACP) possa dar todos os seus frutos de salvação, é necessário que todos os membros sejam conduzidos e formados por directores habilmente preparados, e sobretudo por Assistentes Eclesiásticos idóneos, em cujas mãos está a sorte e prosperidade das associações»[9] . Sobretudo surgiam problemas com os párocos, que eram os Assistentes das Secções Paroquiais, e que muitas vezes se interessavam por elas como polos de atracção de paroquianos para trabalharem também (ou principalmente) nas outras obras paroquiais (que os párocos tinham mais a peito, como coisas suas).

Outro aspecto potencialmente conflituoso resultava de as Organizações (as primeiras que foram fundadas, logo em 1934) e as Juntas serem superestruturas de coordenação dos Organismos Especializados, a nível paroquial, diocesano e nacional, visando estabelecer a harmonia e unidade de objectivos e de acção. Esta situação de sujeição às Organizações constituía uma fonte de dificuldades burocráticas para os Organismos Especializados (que eram as verdadeiras associações dos leigos, dentro da ACP). Sobretudo os Organismos relativos às classes trabalhadoras, os Operários e os Agrários (que mais tarde preferiram chamar-se Rurais), sentiam-se espartilhados e controlados pelas Organizações e pelas Juntas. Durante toda esta primeira década e meia de arranque e implantação, o Conselho da Junta Central (presidida primeiro pelo Arcebispo de Mitilene, D. Ernesto Sena de Oliveira e, desde 1941, pelo Bispo de Helenópole, D. Manuel Trindade Salgueiro) propunha à aprovação do Director Nacional (o Cardeal Cerejeira, já o vimos), um tema de estudo para cada ano social, com o propósito de conseguir uma acção doutrinária e apostólica concertada em toda a sociedade portuguesa. Ora esta orientação podia colidir com o método dito objectivo que era praticado como metodologia básica da ACP (o ver julgar agir que fora criado e praticado na JOC, pelo seu fundador carismático, o Cónego e depois Monsenhor e Cardeal Cardijn)[10]. O tema do ano e a correspondente campanha polarizavam a reflexão e a acção num sentido que podia não corresponder aos problemas mais actuais do meio [11]. Além disso reforçava a tendência prevalecente de formação, tendendo a reduzir a acção dos militantes a esse tema e mais à doutrinação das pessoas do que aos problemas do meio. Assim, as reuniões das Secções (os núcleos de base, sediados em geral nas paróquias, mas também nas escolas) pareciam mais sessões de catequese do que de preparação de um apostolado virado para a vida real.

Mais uma área de atrito resultava do estatuto de dependência atribuído às restantes organizações de cristãos leigos. Dava-se aqui uma curiosa inversão de valores em relação à letra das Bases Orgânicas e dos Estatutos que estabeleciam que todas as obras católicas (então em número já considerável) eram Obras Auxiliares da ACP e deviam ser coordenadas a nível nacional pelo já referido Secretariado. Mas estas Obras nunca se conformaram com este estatuto de subalternidade. E, nas secções de base, como disse, a ordem invertia-se, com a cumplicidade activa dos Párocos: eram os militantes da Acção Católica que serviam as Obras ditas Auxiliares, e não o contrário.

Por último, as relações com a sociedade civil eram susceptíveis de levantar problemas. Um dos objectivos da Acção Católica era «o desenvolvimento duma sã e benéfica acção social ... no intento de restaurar a vida católica na família e na sociedade», mas agindo «fora e acima dos partidos políticos». Organização de leigos, sempre procurou fazer acção social. Mas, por mais cuidados que houvesse, era impossível que tal acção não fosse confrontada com as diversas tendências políticas partidárias (que no nosso caso, grosso modo, se reduziam à situação e à oposição). E ainda mais, numa sociedade com manifestas assimetrias, situações de injustiça e violações dos direitos humanos, como era a nossa. Então o Estado Novo acabava de ser estruturado pela Constituição de 1933, como estado corporativo, com um único partido político, uma única organização sindical orientada para a harmonização das classes sociais, e impedida legalmente de exercer o direito à greve. O regime propunha-se restaurar os valores nacionais tradicionalmente cristãos, e para tal contava com o apoio da Igreja. Estava em vias de restaurar certos privilégios eclesiásticos que o regime democrático abolira durante a 1ª República, o que veio a suceder em 1940, mediante a Concordata firmada entrea Santa Sé e o Estado Português. Para aumentar a possível confusão, o líder político era o católico Salazar, antigo colega e amigo íntimo do líder religioso, o Cardeal Cerejeira, e a primeira geração de dirigentes da ACP integrou muitos cristãos notórios aderentes à nova situação política.


5. Os resultados da época de arranque da Acção Católica Portuguesa

Assim fundada, em fins de 1933, a ACP demorou alguns anos a arrancar efectivamente e a organizar-se, mediante a aprovação, revisão e unificação dos Estatutos dos Organismos Especializados e a nomeação dos respectivos dirigentes. Em certos casos, esses Organismos resultavam de obras pré-existentes. Por exemplo, a Liga de Acção Social Cristã deu origem a dois Organismos, a LACF e a LICF; o CADC tornou-se simultaneamente Direcção Diocesana da JEC, da JUC e da JC, em Coimbra, mantendo porém os anteriores estatutos, organização e actividades; a LUC (que se estruturava em Associações Profissionais) integrou a Associação dos Médicos Católicos e a Associação dos Jurisconsultos Católicos.

Embora, em teoria, fossem definidos como movimentos de leigos dos respectivos meios sociais, nem sempre assim sucedia com os principais dirigentes. Os casos mais notórios estavam na JOCF e na LOCF, cujas primeiras Presidentes vieram do meio dito independente, as "Senhoras", como as filiadas lhes chamavam (com o devido respeito, que hoje nos faz sorrir)... A primeira Presidente Geral da JOCF de origem operária só foi nomeada em 1940, e mesmo assim consta que teve uma "Senhora" como garante perante a Hierarquia!...

Mesmo no meio de tais ambiguidades e factores de potencial fricção, e das naturais dificuldades de lançamento deste imponente edifício associativo, a ACP arrancou de rompante, num clima de euforia. Quando eu a conheci, dez anos depois do seu início, já era um êxito para além do que seria de esperar.

Com efeito conseguira recrutar, por todo o País, e enquadrar umas dezenas de milhar de associados (cerca de oitenta mil em 1943) que recebiam uma formação espiritual e doutrinal mais cuidada do que na catequese tradicional, embora nem sempre com tendências teológicas modernas. Era sobretudo o caso dos dirigentes a nível nacional e diocesano, que beneficiavam da acção de Assistentes Eclesiásticos escolhidos entre os sacerdotes mais capazes para esta nova missão. As reuniões nas secções de base espalhadas por todo o País permitiam uma doutrinação com uma extensão e intensidade nunca antes conseguida sobre temas actuais, e não só os recentes desenvolvimentos da teologia, mas também os ensinamentos das encíclicas sociais dos Papas e da Hierarquia em geral.

Além disso, a prática de métodos específicos de revisão de vida, começava a criar em numerosos militantes e Assistentes Eclesiásticos uma espiritualidade e um estilo de apostolado leigo novos na nossa Igreja. Daqui resultava a motivação de numerosos leigos para darem testemunho cristão no respectivo meio social e relativamente aos problemas actuais da sociedade. Enfim, haviam sido organizadas estruturas técnicas especializadas, os Secretariados já referidos; e, em 1938, O Episcopado fundara uma estação de radiodifusão, a Rádio Renascença, independente mas relacionada com a ACP.


6. A época de maturidade da Acção Católica Portuguesa

É razoável considerar que o período de maturidade da ACP se estende entre meados da década de 1940 e fins da seguinte. Para balizá-lo com marcos de relêvo público, temos imediatamente antes a realização das duas primeiras Semanas Sociais Portuguesas (em 1940, com o tema Aspectos Fundamentais da Doutrina Social Cristã, e em 1943, sobre Bases Cristãs duma Ordem Nova) e, no seu termo, a comemoração dos 25 anos, em 1958, quando também se inicia a preparação do Concílio Vaticano II. Finda a 2ª Guerra Mundial, entra-se numa época de grandes esperanças de paz, de progresso, de redução das assimetrias entre países, em consequência dos processos de descolonização.

Em Portugal, este é um tempo de desenvolvimento económico e duma certa modernização, mas também de endurecimento ditatorial do regime político. Começa a manifestar-se e a tomar forma uma crescente oposição política, de que é expressão o Movimento de Unidade Democrática (MUD), e que atinge o auge em 1958, na campanha eleitoral do General Humberto Delgado. E surgem os primeiros sinais do processo de descolonização com a ocupação de Goa, Damão e Diu pela União Indiana, em Dezembro de 1951.

A ACP progride até atingir o apogeu da sua actividade. Experimentadas as estruturas e os métodos, os seus dirigentes pertencem, cada vez mais, à nova geração que recebeu formação já dentro das suas estruturas e, no caso dos Assistentes, nos seminários que entretanto haviam sido revitalizados e dispunham de muitos professores de qualidade intelectual e espiritual. Deste modo, é capaz de afirmar uma presença crescente na sociedade portuguesa, pela acção quotidiana de milhares de militantes (cujo número chega a ultrapassar os cem mil) integrados nas equipas de base. Mas também, a nível diocesano e nacional, o testemunho é difundido por várias publicações periódicas ou não, editadas pelos Organismos, e por meio da organização de encontros e mesmo de grandes manifestações de massas.

Não é meu propósito deixar aqui o inventário completo dessas manifestações colectivas, mas apenas de exemplificar referindo algumas de particular relevo, decorrendo numa cadência quase anual:

• 1948: 1º Congresso Nacional de Professores Primários, organizado por LECF e LEC;
• 1949: 3ª Semana Social Portuguesa sobre o tema O Problema do Trabalho;
• 1950: 1º Congresso da JICF com o tema Um Mundo Novo; 1º Congresso dos Homens Católicos com o tema: Firmeza na Fé. Energia na Acção
• 1952: 4ª Semana Social Portuguesa sobre o tema O Problema da Educação;
• 1953: Congresso das JUCF-JUC sobre O Pensamento Católico e a Universidade;
• 1955: 1º Congresso Nacional da JOC/JOCF com o tema Pela JOC um mundo novo de trabalho;
• 1956: I Jornadas Católicas de Direito promovidas pela JUC;
• 1957: Semana de Estudos Rurais organizada pelos Organismos Agrários, e II Jornadas de Direito;
• 1958-59: Comemorações do 25º Aniversário da ACP, encerradas em Fátima com uma Semana de Estudos sobre o tema A mobilização do laicado para uma maior presença da Igreja;

Estas manifestações públicas eram bem diferentes dos ajuntamentos políticos promovidos pela União Nacional, que representavam a hábil manipulação das massas populares, em apoio do regime salazarista. No caso da ACP, essas reuniões públicas nasciam de uma dinâmica interna e eram preparadas por meio de trabalhos de equipa a vários níveis e desde as bases, em regra durante um ano, com larga participação dos militantes.

Tudo isto posso testemunhá-lo, porque foi no início deste período que conheci e depois ingressei na ACP. Permitam-me então que comece a exercitar aqui a minha memória. Nasci numa família onde coabitavam duas tendências potencialmente antagónicas. O meu pai era o filho mais velho do Presidente Sidónio Paes e, como tal, era republicano e agnóstico com tendências anticlericais. A minha mãe era descendente de uma família nobre, monárquica liberal e católica. O meu pai não contrariava a educação cristã que me davam e a meu irmão as senhoras lá de casa – a avó, a mãe e a tia; mas proibia um comprometimento expresso, por exemplo, a frequência da catequese, a primeira comunhão e o crisma: nós é devíamos decidir sobre a opção religiosa, quando fossemos maiores. Como aprendemos a instrução primária em casa, só no liceu é que tivemos o primeiro ensino religioso sistemático, na cadeira de Educação Moral. De início, o professor era um cónego tradicionalista que pouco interesse nos despertou. Só no 4.º ano de então (hoje, 8.º) é que o novo professor, Frei João Diogo Crespo, eloquente pregador franciscano, grande educador e Assistente Diocesano da JEC nos revelou um catolicismo moderno e fascinante, onde a doutrina e a prática estavam embebidas na vida pessoal e social. Por isso lhe fiquei eternamente grato e recordo com saudades o seu entusiasmo e respeito pelos jovens, as suas lições e sermões, passeios à Arrábida e livros que nos dava de presente.

Mas não tive autorização paterna para entrar na JEC. E só quando frequentava o Instituto Superior Técnico é que me inscrevi na JUC. O novo Assistente Geral e Diocesano de Lisboa era o Padre Dr. António dos Reis Rodrigues e o Presidente da Direcção Diocesana, o Francisco Pereira de Moura. Conheci-os então num célebre ciclo de reuniões organizado pela JUC sobre Problemas da Sociedade Portuguesa, creio que em 1948, com a participação de alguns dos especialistas mais em vista nos diversos sectores de actividade económica. Lembro-me das sessões em que falaram os Professores Ferreira Dias, Castro Caldas e Pinto Barbosa e fiquei entusiasmado com as perspectivas abertas. No ano seguinte o Francisco Moura convidou-me para Vice-presidente da Direcção Diocesana e, nos dois anos seguintes fui Presidente da mesma.

Devido ao estimulo inteligente e motivante do Dr. Rodrigues, deu-se uma grande revitalização do movimento, no qual aliás já haviam participado muitos estudantes dos mais destacados nas diversas Faculdades. Na segunda metade dos anos 1940 gerou-se uma onda de entusiasmo que se propagou por mais de uma década e tornou a JUC activa e influente no meio universitário. A vitalidade da JUC não se traduzia só na preparação e realização de manifestações colectivas, mas na vida de todos os dias, nas reuniões de militantes e de equipa, em cerimónias litúrgicas, em recolecções e retiros espirituais, em sessões de exposição e debate de temas de actualidade, em campos de férias anuais, na instituição de obras auxiliares: o Centro de Acção Social Universitária, a revista Encontro, o Centro Cultural de Cinema, o Movimento de Renovação de Arte Sacra.

Em muitos outros Organismos notava-se idêntica animação, por exemplo nos Organismos Escolares, nos Organismos Operários e na JICF, resultante da prática sistemática da revisão de vida, como método básico de apostolado.

• 1960: Comemorações do 25º Aniversário da JOC e a 1ª Semana de Pastoral Operária promovida pelos quatro Organismos Operários;
• 1961: Semana Nacional de Estudos dos Escolares Católicos organizada pela LECF-LEC;
1º Encontro de Diplomados Católicos sobre Problemas actuais da família em Portugal, organizado por LUCF-LUC;
• 1962: Semana de Estudos Rurais organizada pelos quatro Organismos Agrários e Semana Nacional de Estudos dos Organismos Independentes da Acção Católica;
• 1963: Grande Encontro da Juventude com o tema A Juventude escolhe Deus e 2º Encontro de Diplomados Católicos, sobre Perspectivas cristãs do desenvolvimento económico, organizado por LUCF-LUC.


7. Avaliação crítica da A.C.P.: factores internos de insatisfação

E contudo, no meio de uma certa euforia dos militantes e Assistentes mais devotados, não obstante a acrescida presença na sociedade portuguesa, quando se fazia um balanço de actividade da ACP, um exame de consciência, ficava a sensação de insatisfação, senão de frustração.

Bem típica deste estado de espírito é a apreciação feita no Boletim da Acção Católica Portuguesa, em 1941, por D. Manuel Trindade Salgueiro, Bispo de Helenópole, Auxiliar do Patriarca de Lisboa, que fora nomeado Presidente da Junta Central e Assistente Nacional da ACP:

«Faltam-nos dirigentes. Faltam-nos Assistentes. Não é novidade para ninguém que o seu número é ainda reduzido. Por esse Portugal fora, não há mais secções, porque na AC se sente aquela crise dolorosa de sacerdotes que todos os Prelados, à custa de sacrifícios pesados, procuram debelar ou atenuar.

Pelo país além, muitas Secções existentes são apenas núcleos de pessoas de boa vontade, sem espírito disciplinado de conquista, porque os seus Assistentes, demasiado absorvidos por outros serviços, ou sem preparação cuidadosa para estas lidas, não podem dar-lhes o que eles próprios não possuem... Injustiça clamorosa seria não se reconhecer o esforço abnegado, por vezes heróico, de alguns Assistentes que não se poupam a trabalhos e a sacrifícios, sem horas para as refeições necessárias e para descanso mais do que merecido, realizando prodígios no apostolado a que se votaram. Mas inútil e funesto será fechar os olhos àquelas realidades que se apontam»
[12].

Dezoito anos depois, as comemorações do vigésimo quinto aniversário foram ocasião de reflexão e revisão crítica. Além das conclusões da Semana de Estudos de Fátima, registadas no Boletim da ACP, o Padre Arnaldo Duarte publicou um estudo sobre a Posição actual da ACP, onde deixa estas graves e oportunas (e por vezes polémicas) interrogações:

«Onde estão as causas que explicam a fraca penetração da Acção Católica nos nossos maiores meios sociais, os operários e agrários, por exemplo?
Porque razão a Liga Católica tem tão poucos filiados, e porque é tão pequena a percentagem dos jovens que, na ocasião devida, passam para os seus Organismos respectivos?
Porque é que, tendo-se realizado tantos e tão brilhantes Congressos e redigido e aprovado tão importantes e oportuníssimas Conclusões e Votos, têm ficado quase todos e quase sempre apenas no papel?
Porque será que os Cursos de Acção Católica, feitos ao clero das várias dioceses, dão tão poucos resultados, e quase caíram em descrédito?
Como se explica que, havendo aulas de Acção Católica em todos os Seminários de Teologia, mais de 30% dos novos sacerdotes não trazem para a vida pastoral entusiasmo nenhum por ela?
Porque será que se verifica não faltarem pessoas (sacerdotes e leigos) nem dinheiro para tantas obras, enquanto que o apostolado oficial da Igreja parece não ter nem gente capaz nem meios bastantes para as suas necessárias e inadiáveis realizações?
Até quando ficaremos nós ocupados apenas na redacção dos mesmos esquemas de reuniões, preocupados às vezes demasiadamente com o rigor burocrático das exigências dos Regulamentos, e plantados na beira do caminho a ver passar a caravana?
Quando veremos coordenadas e orientadas todas as obras de apostolado, numa frente única, às ordens da legítima e superior Hierarquia, para que "todos digam o mesmo", segundo o pensamento e a vontade expressos e claros do Sumo Pontífice e dos nossos Venerandos Prelados?
O que seria preciso fazer para se remediar tudo isto, de forma a poder-se pôr em movimento as já grandes reservas de energias acumuladas, na formação, no estudo, na orgânica e na estrutura dum movimento que nasceu para ter as dimensões da Igreja, e que corre perigo de se transformar em acanhadas capelinhas de benéfica piedade?»
[13]

Embora as críticas desta apreciação sejam sobretudo qualitativas, é interessante anotar a evolução quantitativa neste período de maturidade da ACP. Em 1959, os filiados eram quase 95000 (71000 em 1943), mas só 40% das paróquias tinham secções de Acção Católica. A maioria era feminina e estável (76%, contra 72% em 1943) e juvenil embora com tendência decrescente (62%, para 79% em 1943).


8. Conflitos com o regime político e tensões internas à Igreja

Mas a par dessas deficiências de carácter interno, iam-se agravando as fricções externas. A maior vitalidade da Acção Católica e a sua crescente preocupação com as realidades sociais circundantes não podiam deixar de suscitar conflitos com o regime político cada vez mais fechado a uma evolução democrática.

Desde o início da ACP, creio que logo em 1934, o Padre Boaventura Alves de Almeida, do Secretariado da JOC, escreveu estas afirmações tão claramente críticas do regime que podem espantar pela ousadia (embora as tempere reconhecendo razões de excepção, e recomendando uma atitude pragmática):

«Tal como foi decretada pelo Estado, a organização corporativa está longe de merecer incondicional aplauso.
Briga em mais de um ponto (e o da coarctação da liberdade associativa não é o menos importante) com os ensinamentos tradicionais da doutrina social católica.
Isto face aos princípios, cumprindo-nos todavia confessar que são nobres as intenções que presidiram a essa organização, determinada talvez, em grande parte, pela força irresistível das circunstâncias sociais do momento.
Mas, se deve ser esta a atitude doutrinária dos católicos em face da organização corporativa do Estado, poderão eles praticamente desinteressar-se dela? Se o fizessem cometeriam um erro de funestas consequências.
Quer se concorde quer não com essa organização corporativa, ela é hoje um facto. Cumpre contar com ele. Cumpre utilizá-lo o melhor possível. Só fará o contrário quem não tiver o sentido das realidades.
Urge portanto que os católicos façam quanto puderem por penetrar de espírito cristão essa organização, pois, de contrário, correm o risco de ver amanhã a dominar nela fortes correntes de opinião que estão longe de adoptar as soluções cristãs da questão social.»
[14]

E logo se refere aos Organismos Operários da ACP em termos onde, quiçá, perpassa a nostalgia de uma impossível central sindical católica:

«Os operários católicos de Portugal não podem propor-se, hoje, fazer uma organização sindical própria. Veda-lho a recente organização corporativa do Estado que não permite senão os sindicatos nacionais.
Mas podem e devem propor-se a criação duma organização social nitidamente católica que permita uma forte formação social cristã das classes trabalhadoras e a defesa dos seus direitos e interesses.
Podem e devem criar uma organização que leve os que constituem o mundo do trabalho a sentir a nobre altivez da sua condição social, a tomar consciência plena dos seus direitos como dos seus deveres; que possa concorrer para a realização sempre mais ampla das justas reivindicações tanta vez e tão altamente sustentadas pela Igreja duma classe que, no dizer de Leão XIII, "tem vivido numa situação de miséria imerecida".
E é mister que todo o esforço feito nesse sentido seja um esforço coordenado que se subordine a um único plano nacional e a um comando nacional também único.»
[15]

Estas afirmações não suscitaram então reacção assinalável da parte do Governo, que aliás por força da Concordata com a Santa Sé, reconhecia aos católicos o direito de associação, excepcionalmente e com fins apenas religiosos [16]. Ora a Acção Católica vinha colocar-se perigosamente perto da fronteira do domínio permitido.

O primeiro sinal de suposta violação dessa fronteira e de ameaça de conflito acontece com o jornal da LOC, O Trabalhador, que vinha abordando os problemas da classe operária em termos considerados subversivos pelo Governo de Salazar. Por isso a sua publicação foi suspensa temporariamente em 1946, e definitivamente dois anos depois. Pelo mesmo motivo, foram afastados os dois grandes Assistentes que dinamizavam a JOC e a LOC, os Padres Abel Varzim e Manuel Rocha [17]. As pressões do Governo sobre a Hierarquia Eclesiástica cresciam e levaram, por exemplo, a suspender a realização das Semanas Sociais, a partir de 1952, e a cancelar o 2º Congresso dos Homens Católicos, marcado para 1954.

O Episcopado ia cedendo, procurando assim conservar a Acção Católica (mesmo que limitada na sua actividade), bem como as demais prerrogativas que a Concordata conferia à Igreja Católica em Portugal. Mas a própria dinâmica crescente da ACP tornava inevitáveis as ocasiões de conflito. Outra, particularmente grave, ocorre a propósito do 1º Congresso Nacional da JOC/JOCF, em 1955, de que o Cónego António dos Santos dá o seguinte testemunho, no seu trabalho sobre a história da ACP:

«A pressão do regime faz-se sentir cada vez mais. Por exemplo, quando se realizou o 1º Congresso da JOC, houve intromissões e limitações. Além da proibição à última hora do Jogo Cénico no Pavilhão dos Desportos, alegando que se tratava de uma peça teatral de "inspiração comunista, subversiva e perigosa para a nossa mentalidade e para o nosso meio", a censura só permitiu o relato do primeiro dia de trabalho da Semana de Estudos sobre a Família
.
Nos dias seguintes, os jornais silenciaram tudo. O próprio Chefe do Governo mandou dizer ao Cardeal Cerejeira: "a JOC deixa de existir se não se limitar à sua esfera religiosa". Isto foi comunicado depois de uma reunião da Comissão Central da União Nacional, na qual o Congresso da JOC foi debatido.
Daí se compreender melhor as palavras do Cardeal Cerejeira na sessão final do Pavilhão dos Desportos: "Tocar em vós é ferir a Igreja no que ela tem de mais íntimo, mais glorioso..."»
[18]

O caso mais sério de conflito com o Governo e que causou profundas tensões no seio da Igreja foi sem dúvida o originado pela divulgação da famosa carta escrita a Salazar pelo Bispo do Porto D. António Ferreira Gomes, em 13 de Julho de 1958, no contexto da campanha para a eleição do Presidente da República, em que foi candidato da oposição o General Humberto Delgado. Fundamentando-se nos princípios do ensino social da Igreja e na acção de numerosos militantes católicos, o Bispo do Porto criticava o regime político pelas restrições ao exercício dos direitos humanos e pelas situações de injustiça que se mantinham e pelas novas que eram criadas.

Salazar reagiu violentamente, ameaçando denunciar a Concordata entre a Santa Sé e o Estado Português. As atitudes do Episcopado e do próprio Vaticano foram cautelosas, preferindo não pôr em perigo os privilégios adquiridos a apoiar o Bispo do Porto. E embora resistindo às pressões governamentais para a sua destituição, toleraram o seu forçado exílio do País [19].

Esta situação gravíssima abriu uma ferida, uma fractura profunda no seio da Igreja portuguesa, e afectou seriamente a Acção Católica. Com efeito, a ampla doutrinação crítica que o D. António Ferreira Gomes vinha praticando, com a aplicação do ensino social católico às realidades da sociedade portuguesa, correspondia não só aos anseios de muitos militantes da ACP, como era um verdadeiro exercício de revisão de vida, feito a nível episcopal, e apoiando diversas acções que então eram desenvolvidas por vários Organismos da ACP.

Recordemos ainda que o mesmo Bispo do Porto também havia criticado certos aspectos da Acção Católica, em sintonia com as preocupações de numerosos militantes leigos. Esses aspectos eram designados por aquele Prelado com termos que fizeram sensação e eram então frequentemente citados, em favor de uma revisão da organização e do funcionamento da ACP: oficialismo, triunfalismo, gigantismo, burocratismo. Oficialismo, queria dizer o laço oficial de dependência do Episcopado, que se considerava comprometido com as tomadas públicas de posição da Acção Católica; triunfalismo referia-se ao já aqui referido espírito de conquista com sabor de Cruzada do que se auto-denominava Exército de Cristo-Rei; gigantismo traduzia a enorme dimensão da organização, pretendendo abranger e coordenar, num corpo organicamente uno, a complexidade da sociedade humana; burocratismo verberava o peso dos processos e circuitos envolvendo Organismos, Organizações e Juntas, que canalizavam boa parte das energias dos dirigentes para actividades internas (correspondência, reuniões de coordenação, actas, relatórios, prestação de contas, contribuições monetárias...).

Adiante voltaremos ao caso do Bispo do Porto, para recordar as atitudes da A.C.P., reclamando o seu regresso e festejando-o quando aconteceu, após mais de dez anos de exílio.


9. A Acção Católica em tempo de Concílio: os novos sinais dos tempos

Embora nunca tenha conseguido completamente encarnar o modelo grandioso e atingir os ambiciosos objectivos com que fora concebida, a A.C.P., dobrado o primeiro quartel da sua existência, conseguira alguns resultados assinaláveis. Era uma vasta escola de formação dos cristãos leigos num cristianismo exigente e actualizado; e que, empenhando-os em colaborar na missão apostólica da Igreja, prestavam testemunho cristão individual e também colectivo, quer por meio de manifestações públicas (congressos e jornadas de estudos, etc.), quer por uma ampla actividade editorial (jornais, revistas, livros, documentação variada).

Entretanto os tempos mostravam sinais de mudança, no Mundo como na Igreja.

No Mundo, o desenvolvimento económico acelerava, alargando embora o fosso entre ricos e pobres. A construção da Comunidade Económica Europeia dava os primeiros passos, perante as duas cada vez mais fortes e hostis superpotências. Alargava-se e agravava-se a ânsia de emancipação dos povos oprimidos por regimes totalitários ou pelo domínio colonial e, em consequência, avançava o irreversível processo de descolonização e de emergência do Terceiro Mundo como força política. Em Portugal, a par do crescimento económico, crescia a agitação social e o descontentamento político. Em Março de 1961 começariam, em Angola, as guerras coloniais e, nos anos seguintes, agudizar-se-ia a contestação estudantil.

Na Igreja sopravam ventos fortes de renovação, que varrem o breve e fecundo pontificado do Papa João XXIII. Em parte devido à Acção Católica, tinha-se activado a reflexão teológica sobre temas como as realidades terrenas, as relações entre a Igreja e o Mundo, a natureza e a missão dos leigos, o ecumenismo, a liturgia. Em todos estes campos a AC tinha experiência vivida e trazia contributos quanto aos problemas reais e suas possíveis soluções, tanto dos militantes leigos como dos Assistentes Eclesiásticos. Por exemplo, no domínio litúrgico, a ACP vinha exercendo uma acção notável, quanto à concepção participada das cerimónias, e ao lançamento da renovação da arte sacra.

Por outro lado surgiam novos movimentos de leigos fora da Acção Católica, como o Graal, as Equipas de Casais, os Cursos de Cristandade, a Opus Dei, que em Portugal atraíam numerosos cristãos. Apareciam também organizações de inspiração cristã mas de direito civil, tais como a Livraria Morais com sua extraordinária actividade editorial não só de livros como da revista O Tempo e o Modo e, mais tarde, da edição portuguesa da Concilium , a Pragma e a Sedes, que eram impulsionadas por antigos membros da Acção Católica.

Quando o Papa João XXIII anunciou a realização do Concílio Vaticano II, impulsionou a preparação e inaugurou-o em 11 de Outubro de 1962, os tempos estavam maduros para esta magna assembleia de aggiornamento, que foi acolhida com enorme entusiasmo, sobretudo nos meios mais progressivos da Igreja e também da Acção Católica. No campo da doutrina social, João XXIII publica duas encíclicas notabilíssimas: em 1961 a Mater et Magistra, e em 1963 a Pacem in Terris que representam um novo e actualizado compromisso da Igreja no anúncio e na promoção dos direitos humanos fundamentais, da justiça social e da paz. O estilo de simplicidade evangélica do Bom Papa João acende o espanto e a esperança de renovação no modo de a Igreja estar no Mundo, e ecoa profundamente nas associações de apostolado dos leigos, incluindo a Acção Católica Portuguesa.

O Grande Encontro da Juventude, em Abril de 1963, foi talvez a mais grandiosa manifestação pública da ACP, mas também o canto do cisne desses grandes ajuntamentos de massas, com sabor triunfalista, como então se dizia. Daí por diante, além do trabalho nas bases, que prosseguia com as dificuldades e limitações habituais, a ACP em tempo de Concílio toma cada vez mais aguda consciência de que, tal como a própria Igreja, precisa de actualizar-se. A experiência de 30 anos de vida mostra que o figurino que lhe fora imposto pelo Episcopado já não lhe assentava bem, nem estava à medida das realidades dos tempos, nem das aspirações e da prática dos militantes desta segunda geração já nela formada.

Um sinal de alarme bem característico foi dado em 1965 pela Semana Nacional de Estudos sobre a Família, que fora cuidadosamente preparada durante o ano social anterior. Assunto pacífico na aparência, a dinâmica gerada pelo seu funcionamento participado e democrático conduziu a conclusões votadas, algumas das quais tocavam em aspectos delicados do regime e da doutrina. Lembro os dois que fizeram mais sensação:

1º) Com base no ensino social da Igreja, contestava-se o sistema de censura prévia aos meios de comunicação social, advogando-se que à família e aos educadores competia a obrigação de preparar os jovens para o uso reflectido e crítico daqueles meios, em vez de repousarem na protecção censória, que feria o direito à informação;

2º) solicitava-se ao Episcopado a revisão da Concordata, de modo a eliminar a discriminação legal que instituíra quanto ao divórcio (emenda, aliás, que veio a ser aceite pela Santa Sé, depois de 25 de Abril de 1974).

Esta última sugestão foi tão mal recebida pela Hierarquia, que o então Presidente da Junta Central e Assistente Nacional, D. José Pedro de Silva, Bispo de Tiava, reteve a publicação das conclusões no Boletim da ACP, e só a autorizou com alteração deste último ponto.

Um tal incidente evidenciava uma nova faceta das relações entre os leigos e a Hierarquia, no seio da Acção Católica, que veio a agravar-se no futuro Relações que durante o Concílio não estavam a corresponder às aspirações dos leigos de serem consultados pelos Bispos, na preparação dos debates conciliares, tal como se fazia em alguns países. E justificava também a necessidade de actualização da orgânica e da regulamentação.

Assim foi acolhida com grande e geral satisfação a seguinte determinação do Director Nacional, Cardeal Cerejeira, publicada em 24 de Junho de 1965: «o Episcopado Português julgou chegada a hora de dar satisfação aos votos, que, por várias vias, lhe foram apresentados de se estudar a oportunidade e os processos de actualização da A. C. P., com a consequente revisão das Bases, Estatutos e Regulamentos, em ordem a uma eficiência maior desse providencial movimento apostólico que o Santo Padre Paulo VI urge tão insistentemente» cf. Boletim da ACP, nº 384, pág. 1). E para tal é logo nomeada uma Comissão de Actualização, constituída por um escol de militantes provenientes das Organizações e Organismos Especializados [20].


10. A entrega da Acção Católica aos leigos

No dia de Cristo-Rei de 1966 era sempre nesta festa litúrgica que se iniciava solenemente o chamado ano social da ACP deu-se um acontecimento histórico, indicativo da vontade de o Episcopado satisfazer as legítimas aspirações dos militantes, e de iniciar um processo de mudanças estruturais. Completados então 33 anos sobre a fundação da ACP, pela primeira vez a Junta Central era constituída só por leigos, e encabeçada por um Secretário-Geral e não por um Presidente (que fora sempre ou um bispo ou, ultimamente, um sacerdote).

Foi então que tive a honra e a alegria de ser nomeado o primeiro Secretário-Geral leigo da Junta Central da ACP. O meu nome havia sido indicado pelas Direcções Nacionais das Organizações, e aceitei depois de ter conversado detidamente com o Senhor Patriarca, que me convidou, e com alguns dirigentes da ACP e outros meus amigos católicos [21]. Também acordei com o Cardeal Cerejeira que a Junta Central tivesse um Secretário-Geral Adjunto proveniente dos Organismos Operários (que veio a ser o Fernando Abreu, militante da L.O.C.), e alguns membros com funções técnicas por mim propostos, além de quatro Vogais representantes das Organizações.

O Assistente Eclesiástico da Junta Central, nomeado pelo Senhor Patriarca, foi o Padre Dr. Orlando Leitão. Escolha acertadíssima e muito bem recebida, o Padre Orlando desempenhou as suas funções com um zelo e um tacto extraordinários, e teve uma acção decisiva para se conseguir a harmonia e o equilíbrio no funcionamento interno e nas relações com o Episcopado. Deixo-lhe aqui uma muito amiga e merecida homenagem, extensiva a todos os membros que passaram por essa Junta Central, e contribuíram de diversos modos para o trabalho realizado [22].

Na cerimónia inaugural do novo ano social, sempre celebrada no domingo dedicado a Cristo-Rei, o Cardeal Cerejeira pronunciou uma homilia calorosa (e cautelosa), acentuando a natureza do apostolado da Acção Católica, conforme as Bases Orgânicas de 1933 (citando até a letra do hino), e a doutrina conciliar. A terminar afirmou:

«A Igreja respeita a variedade de formas de apostolado; mas quem entra na Acção Católica, aceita as limitações do apostolado hierárquico. Dentro dele cabe todo o católico, as divisões ficam fora.
O diálogo da Acção Católica com o mundo é diálogo da Igreja, realizado por leigos e para leigos, com responsabilidade e iniciativa própria, leigos presentes e, porventura, dispersos nas legítimas opções temporais, mas unidos na unidade da inspiração cristã e na caridade de irmãos.
A Acção Católica é a central da formação apostólica do cristão de hoje, para o mundo de hoje, no espírito conciliar de hoje. Cristão adulto, responsável, consciente, militante; fiel ao Espírito, atento aos sinais do tempo, dócil ao Magistério sagrado; leigo sem ser laicista, aberto sem ser corredor de novidades.
E por último, poucas mas solenes palavras. Vai começar o novo ano da Acção católica. Ano novo, não só porque começa, mas porque trás consigo coisas novas. Já o anterior foi de reflexão, ao sopro do Concílio. Este, o primeiro ano pós-conciliar, entrará, ousada e confiantemente, no caminho aberto pelo Espírito o Espírito que renova a face da Igreja de hoje entregando nas mãos dos leigos os destinos da Acção Católica.
Senhores Dirigentes. É de coração exultante com o crescimento da Igreja que ponho a minha assinatura na página nova que neste momento se escreve para a história da Acção Católica em Portugal. Comovido mas com alegria, com esperança e com confiança entrego-vos a Acção Católica na sua missão laical de colaboração com a Hierarquia na evangelização e santificação. É vossa a hora. Deus vos chama. Sereis uma presença da Igreja. O mundo espera por vós.»

Esta declaração, posso testemunhá-lo, manifestava uma vontade de acompanhar o aggiornamento que o Concílio Vaticano II pretendera operar Igreja, e a enequívoca valoração do papel do laicado. E no entanto, mantinha intacto o conceito primitivo. A Acção Católica era «entregue» aos cristãos leigos, mas era-o «na sua missão laical de colaboração com a Hierarquia na evangelização e santificação». A missão deveria ser cumprida pelos leigos «com responsabilidade e iniciativa própria», mas na subordinação à Hierarquia instituída por Cristo com o triplo poder doutrinal, sacerdotal e pastoral. E a ambiguidade permanecia quanto à estratégia da Acção Católica. A sua função de «central de formação apostólica» era acentuada. Quanto à acção, o Cardeal Patriarca tinha esperança disse-mo várias vezes que se pudessem unir, num apostolado concorde, leigos com leituras divergentes das realidades portuguesas, à luz do Evangelho e do ensino social católico. Leigos «porventura dispersos nas legítimas opções temporais, mas unidos na unidade da inspiração cristã e na caridade de irmãos». Sublinho legítimas, porque era o cerne de todas as divergências o que seria legítimo numa óptica cristã na sociedade portuguesa de 1966, apoquentada pelas limitações no exercício dos direitos cívicos reconhecidos como inalienáveis pelo Concílio, e ferida pelas guerras coloniais.

Para o verificarmos, basta confrontar o discurso do Patriarca, publicado Boletim da Acção Católica Portuguesa (nº 383, Dezembro 1966 Janeiro 1967, pp. 3-6), e o artigo de fundo que escrevi neste órgão oficial da A.C.P. (pp. 1-2. O mesmo facto era aí celebrado, mas os diferentes textos bíblicos e conciliares convocados acentuavam os bens «da dignidade humana, da comunhão fraterna e da liberdade, da verdade, da justiça do amor e da paz» (Gaudium et Spes, nº 39; Lumen Gentium, nº 48), e exortavam assim os cristãos leigos: «Não escondam esta esperança no interior da alma, mas exprimam-na, mesmo através das estruturas da vida social, por uma renovação contínua e pela luta "contra os dominadores deste mundo tenebroso e contra os espíritos do mal"» (Lumen Gentium, nº 35).

Uma decisão auspiciosa de mudança estrutural foi a supressão das Organizações, cujas funções eram de coordenação horizontal a nível nacional, diocesano e paroquial dos Organismos Especializados. Estes, verdadeiros movimentos associativos da ACP, ficaram apenas coordenados, mas de forma participativa, pelas Juntas Diocesanas e, a nível nacional, pela Junta Central. A referida alteração estrutural correspondia ao sentimento e à vida da ACP, que cada vez mais se entendia como uma federação daqueles Organismos, dotados e dinamismo próprio e projectando-se mesmo no exterior através das respectivas Organizações Internacionais.

Outra medida, que reflectia o clima conciliar, foi o convite do Secretário-Geral para estar presente em certas reuniões da Conferência Episcopal, a fim de expôr assuntos de interesse para a ACP e dialogar directamente com o Episcopado. Isto aconteceu pela primeira vez logo em Janeiro de 1967. Foi então apresentado um documento elaborado pela Junta Central sobre o estado da Acção Católica, a sua situação e os seus principais problemas, e dirigindo um apelo ao Episcopado sobre a necessidade sentida de prestar público testemunho do ensino social da Igreja, aplicado à sociedade portuguesa, como manifestação de independência em relação ao regime político vigente.


11. Novo modo de ser da Acção Católica Portuguesa

Aligeiradas as estruturas de coordenação, nos anos seguintes praticou-se, com aceitação generalizada, um novo estilo de relacionamento dos Organismos Especializados, tanto a nível nacional como diocesano. A Junta Central, por exemplo, não se considerava como o orgão de direcção cimeiro e unificador dos Organismos, mas antes a sua expressão naqueles problemas de âmbito geral e nacional que fosse decidido terem reflexão expressão colectivas, tanto nas relações com o Episcopado, como em declarações dirigidas ao País.

Aparecia, assim, um novo tipo de relações entre os cristãos leigos organizados em Acção Católica e o Episcopado. Nos termos dos Estatutos e das Bases Orgânicas iniciais, praticamente só se concebia o fluxo de orientações no sentido descendente, da Hierarquia para os leigos associados. Em sentido ascendente apenas se previa um fluxo de informação, de relatórios de funcionamento. Animados agora pela doutrina desenvolvida por teólogos especialistas no apostolado laical e nas realidades terrenas (como então se dizia), doutrina que entretanto se afirmara no Concílio, os leigos sentiam ser seu dever apresentar, quando entendessem, ao Episcopado os resultados da sua experiência apostólica, e da sua reflexão elaborada segundo o método de revisão de vida.

A Junta Central passou a considerar-se como o órgão nacional ao serviço de toda A.C.P., e dela representativo. A sua representatividade não a ía procurar num estatuto, mas nas deliberações do seu Conselho Nacional (que era agora considerado como uma Assembleia Geral, onde participavam os Presidentes dos Organismos Especializados e das Juntas Diocesanas) e que funcionava segundo regras democráticas. Passou também a ser um canal, não de transmissão da superior orientação da Hierarquia, mas de comunicação bilateral entre a estrutura dos leigos associados e o Episcopado o Patriarca de Lisboa (Director Nacional da A.C.P.) e a própria Conferência Episcopal.

E o mesmo tendia a suceder, a seu nível, com as Juntas Diocesanas. As Juntas funcionavam de forma democrática. E aplicavam o método de revisão de vida (então geralmente praticado na A.C.P.) aos factos de vida (assim se dizia então) apreendidos no seu âmbito (diocesano ou nacional), ou provenientes dos Organismos, na sua experiência vivida nos diversos meios sociais.

Por exemplo, logo que tomou posse e no exercício de revisão da vida religiosa portuguesa, a Junta Central decidiu reflectir sobre estes temas momentosos: a situação interna da ACP; o cinquentenário das aparições de Nossa Senhora em Fátima (que ía ser comemorado com solenidade no ano seguinte); os grandes problemas nacionais que reclamavam um testemunho evangélico. Estes temas, com efeito, interessavam a generalidade dos membros da ACP, em todos os meios e em todo o País, e situavam-se, portanto, ao nível de competência da Junta Central. A reflexão partia de uma leitura dos sinais dos tempos (expressão do Papa João XXIII, que ganhou enorme popularidade), da experiência vivida, e das orientações doutrinais e pastorais da Igreja. Os resultados da reflexão foram expressos em dois documentos.

O primeiro, sobre a situação interna da Acção Católica, e os problemas nacionais que a confrontavam, deu origem ao início dos contactos oficiais com a Conferência Episcopal Metropolitana, na sua reunião de Janeiro de 1967. O Secretário Geral e o Assistente da Junta Central foram recebidos e, depois de transmitir «um voto de reconhecimento, formulado pelo Conselho Parcial ao tomar conhecimento da recente Pastoral Colectiva sobre o Apostolado dos Leigos», apresentaram uma exposição da Junta Central à Conferência Episcopal, «em que se esboça uma perspectiva geral da Acção Católica no nosso país, formula um juízo sobre a situação actual e equacionam algumas dificuldades que se manifestam como comuns e mais prementes» (cf. Boletim da A.C.P., nº 384, pág. 7).

A reflexão sobre Fátima foi traduzida num documento extenso [23], que partia de uma apreciação crítica dessa importantíssima realidade da Igreja Portuguesa, com os seus aspectos positivos e negativos, para concluir por algumas sugestões sobre as comemorações do cinquentenário. Este documento deu origem ao primeiro atrito entre a Junta e a Hierarquia. Antes de aprovado para entrega à Conferência Episcopal, foi distribuído para comentários e aperfeiçoamento às Direcções Gerais dos Movimentos e aos Assistentes Nacionais. Alguns destes puseram-lhe reservas e um atacou-o mesmo violentamente. Entretanto, não se sabe como, chegou às mãos de Monsenhor Moreira das Neves que o criticou num editorial de Novidades, acusando-o de combater Fátima e a sua mensagem. Não sendo este o objectivo do documento, perante tais reacções e para evitar conflitos, a Junta Central decidiu não o publicar, mantendo-o como um texto interno. O Episcopado, que dele só teve conhecimento informal, apenas se lhe referiu por críticas indirectas do Patriarca de Lisboa e do Bispo de Leiria.

Quanto à Junta Central, não abdicou de uma tomada de posição e, além de um editorial publicado no Boletim (nº 385, Março-Maio de 1967) [24], o Conselho Plenário aprovou uma conclusão e um voto textos que, embora despidos de apreciações críticas, eram substancialmente conformes ao documento que ficou inédito (ver Anexo I).

Em regra, porém, a Junta Central não agia por si, mas apresentava documentos ao Conselho Nacional que os discutia, alterava e votava, sendo só publicados depois de aprovados, com o maior peso de opinião que assim os revestia. O Conselho Nacional da A.C.P. era constituído, na forma parcial, pelos membros da Junta Central e os presidentes ou coordenadores (termo então preferido) das Direcções Nacionais dos Organismos Especializados, e reunia com frequência entre mensal e trimestral. Na sua forma plenária, além daqueles componentes, era acrescido com os presidentes das Juntas Diocesanas; reunia pelo menos anualmente, em geral no verão, para debater os assuntos de maior relevo, o plano de actividades e o orçamento para o ano social seguinte.

Adiante referiremos alguns documentos importantes aprovados nestes Conselhos, sobre problemas graves que se manifestaram na sociedade e na Igreja portuguesas.

12. O III Congresso Mundial para o Apostolado dos Leigos

Esta reunião magna do laicado que teve enorme projecção na Igreja mundial. O seu tema geral, O Povo de Deus no Itinerário dos Homens, correspondia bem às aspirações pós-conciliares de muitos leigos cristãos a uma mais íntima presença da Igreja no mundo. Como trabalho preparatório, foi lançado um inquérito mundial «sobre as primeiras experiências feitas do estudo e da aplicação dos ensinamentos do II Concílio ecuménico do Vaticano». Em Portugal a recolha e tratamento das respostas foi feita pela Junta Central da A.C.P., e publicada no seu Boletim n.º 385 ( Março-Maio de 1967). É um documento de grande interesse informativo, mas cuja transcrição e análise não cabem no quadro deste artigo.

O Congresso realizou-se em Roma, em Outubro de 1967, num clima de verdadeira euforia, típica destes primeiros tempos pós-conciliares. Todo o vastíssimo movimento de preparação e realização do Vaticano II, já o disse, criara um desejo intenso de participação dos cristãos leigos na vida da Igreja e, a seu modo, na própria orientação da pastoral, e também de ver a Igreja funcionar de forma mais participativa.

Tais tendências correspondiam às nossas aspirações e ao estilo que procurávamos praticar na A.C.P., e assim sucedia noutros movimentos de apostolado laical. Por isso não foi difícil constituir uma delegação portuguesa, formada por trinta membros da A.C.P. e de outras organizações, acompanhados de cinco peritos em assuntos a debater. Esta delegação participou activamente no Congresso, que decorreu de forma democrática, reflectindo a prática que se ia afirmando um pouco por toda a parte.

Ao regressar de Roma, a Junta Central publicou um número especial do Boletim da A.C.P., (nº 388, Novembro de 1967 a Janeiro de 1968). E a nossa delegação entendeu dever comunicar aos meios católicos portugueses as suas impressões e as resoluções do Congresso que a entusiasmara. Para tal pôs-se à disposição das entidades que se mostrassem interessadas, e numerosas foram as sessões de informação em que foi convidada a participar, sessões que decorreram, em geral, com grande animação e vivo debate. Nessa época em que o direito de reunião era drasticamente refreado, estas tornaram-se verdadeiros acontecimentos com alcance cívico. Se quisermos ter uma ideia das pessoas que nelas deram testemunhos, bastará atentar nos nomes dos delegados e peritos portugueses ao Congresso [25].

Para dar uma ideia da ousadia (na época e mesmo hoje, trinta anos depois) dos temas abordados e das posições assumidas, deixamos transcritas (no Anexo II) as resoluções que emanaram do Congresso. Oito foram discutidas e aprovadas pela Assembleia dos Chefes das Delegações, mas não houve tempo para apreciar outros doze projectos de resoluções que lhe foram submetidos. Os temas versados e as exigências feitas nesse duplo conjunto de textos constituíam um desafio à solução de alguns dos mais instantes problemas no mundo (como na sociedade portuguesa), e na Igreja empenhada no processo de aggiornamento pós-conciliar. Resumamos esses temas, atitudes e apelos:

a) no âmbito civil : A condenação das práticas racistas e de toda a descriminação racial e religiosa; a luta contra a opressão de pessoas e grupos sociais e o compromisso dos cristãos nela; a promoção dos direitos do homem onde são desrespeitados e apoio ao ano internacional dos direitos do homem; a defesa dos direitos das minorias, com menção concreta de uma solução humana justa para o problema dos refugiados da Palestina; a solidariedade para com os deficientes físicos e mentais; a prática de políticas realistas relativas à expansão demográfica, que respeitem o carácter humano do problema; a cessação do escândalo das guerras (com especial referência às do Vietname e do Médio Oriente); o desarmamento geral e completo com garantias de segurança adequadas; a suspensão da actual corrida aos armamentos; a reorganização das estruturas nacionais e internacionais para uma maior justiça social, sobretudo a modificação do regime económico internacional; o apoio dos países desenvolvidos ao desenvolvimento e valorização dos recursos dos países em vias de desenvolvimento (proposta de 1% do rendimento nacional daqueles países, até 1970, ser destinado a este fim); a importância dos meios de comunicação social e o seu compromisso com os oprimidos e desfavorecidos;

b) no âmbito religioso : a condenação do Estado confessional, em nome da liberdade religiosa real; a plena igualdade de direitos do homem e da mulher na Igreja, e o estudo do acesso das mulheres às ordens sacramentais; o estudo dos problemas da família e, em particular, o respeito pelos valores da família nos países africanos; uma atitude ecuménica perante os casamentos mistos; o pedido de que, na doutrinação sobre regulação da natalidade, a Igreja reconheça aos pais a responsabilidade de escolher os métodos técnicos para a realizar; a participação de leigos representativos na eleição dos Bispos; a criação de Conselhos de Leigos (nacional, diocesanos e paroquiais) e de Conselhos Pastorais (nacional e diocesanos), cujos membros leigos fossem representativos, eleitos pelo laicado.

Ao ler os textos, vê-se que não houve um plano de ordenamento das resoluções. A Assembleia dos Chefes das Delegações foi-os discutindo e votando a partir dos projectos oriundos dos grupos de trabalho reunidos durante o Congresso ou apresentados por delegações, e vários ficaram por votar. Neste conjunto publicado nas actas do Congresso, notam-se por isso algumas redundâncias, e os projectos não debatidos têm formulações menos apuradas que as resoluções aprovadas. O carácter frontal e, por vezes, radical de todos estes textos é deveras impressionante. E mostra que ao contrário de certas insinuações os objectivos não eram de ordem política, na qual a viabilidade e eficácia das propostas é determinante. A assembleia estava animada, outrossim, de intenções apostólicas, e não pretendia propor soluções concretas para tão graves questões, mas fazer um apelo profético, proclamando ao mundo e à Igreja aspirações e ideais por vezes utópicos, como o é, no fundo, a mensagem evangélica [26].

A redacção das resoluções usa sempre numa linguagem corrente e clara, sem vestígios do estilo clerical que ainda persistia em muitos meios católicos, e entre nós mesmo na Acção Católica, como se pode ver em alguns documentos aqui reproduzidos. Se isto sucedia em Portugal era devido, por certo, às dificuldades na comunicação dos leigos com o clero. Uma linguagem familiar à Igreja afastava suspeitas de laicismo, e facilitava a homologação dos documentos destinados a difusão (muito embora lhe limitasse a amplitude).


13. Tensões a propósito do Congresso e da Humanae Vitae

Não admira que, tanto o modo de funcionar do Congresso, como o teor das resoluções, tenham alarmado os sectores tradicionalistas da Igreja, que prontamente denunciaram as supostas subversões deste III Congresso a ponto de ter sido o último... Não esqueçamos que já então havia pelo mundo algumas experiências que preocupavam a Santa Sé, tais como as da Igreja Holandesa, que se tornaram um caso limite, bem como os movimentos inspirados na chamada Teologia da Libertação [27]. Os meios estudantis ferviam, e o Maio de 68 estava iminente...

Em Portugal sucedeu o mesmo, todo o movimento à volta do Congresso suscitou a reacção dos meios mais conservadores, que nesse tempo ainda mais o eram do que os romanos, e temiam o Vaticano II como perigosa abertura, tanto no campo doutrinário como pastoral, capaz de minar a autoridade da Hierarquia Eclesiástica. Choveram, a propósito, as habituais insinuações de cripto-comunismo político e de progressismo religioso. Foi o próprio jornal diário do Episcopado, Novidades, que encabeçou esta campanha, bem como o jornalista e colaborador da Emissora Nacional de Radiodifusão e da Radiotelevisão Portuguesa então mais em foco pela virulência da sua pena no combate contra os progressistas, o Padre Dr. Videira Pires.

A polémica então travada merecia uma análise minuciosa, que talvez um dia lhe dedique. No quadro deste ensaio, terei de ser necessariamente sucinto. As peças principais estão transcritas no Boletim da ACP nº 389 (Fevereiro -Abril de 1968). No seu número de 9 de Novembro Novidades publicou com relevo o artigo Depois do Congresso do Apostolado dos Leigos assinado um seu correspondente do Vaticano, Emilio Marini, fazendo insinuações sobre a falta de ortodoxia e o espírito de desobediência à autoridade eclesiástica que, em sua opinião, tinham ocorrido no Congresso. A leitura deste texto (ver Anexo III) faz-nos hoje sorrir, pelo espírito retrógrado e clerical do autor, a ponto de negar a responsabilidade dos cristãos leigos, investidos de representatividade mundial, em debater e fazer recomendações sobre matérias que afectam a sua acção apostólica e o mundo em que vivem. Mas na altura, e em Portugal (país sujeito a censuras e repressões violentas), um tal documento tinha o sabor de uma denúncia traiçoeira, tanto a nível eclesiástico como civil.

Em resposta o Conselho Parcial da Junta Central redigiu um comunicado de protesto, que Novidades reproduziu dois dias depois (ver Anexo IV). E para rebater em pormenor as numerosas insinuações, algumas difamatórias, eu escrevi um longo artigo, que também apareceu no mesmo jornal. A sua extensão impede que o reproduzamos aqui, mas a sua leitura seria elucidativa do entusiasmo que então nos animava, e do espírito que informava o nosso projecto de Acção Católica (cf. Boletim da ACP, nº 389, pp. 48-63).

Se Novidades, correctamente, não voltou ao assunto, fê-lo o Padre Dr. Videira Pires, de forma mais acerada, em dois dos seus programas radiodiofónicos Espírito sobre as águas (com os títulos No reino da Confusão e A Lição do Cardeal Veuillot, emitidos a 18 e 25 de Fevereiro [28]). Aí denunciava frontalmente os dirigentes da Junta Central (e eu próprio em especial), nestes termos de inequívocos: «Quando os Bispos de Portugal confiaram os destinos da Acção Católica ao laicado, nomeando, pela primeira vez, um leigo para Secretário-Geral, deram-lhe certamente uma enorme prova de confiança. Ao cabo de quase ano e meio deste estado de coisas, começam, porém, a surgir sintomas alarmantes de que essa confiança não esteja a encontrar a correspondência que seria legítimo esperar» [29]. A razão destas suspeitas era o número especial do Boletim da ACP (nº 388) sobre o Congresso, que atacava citando excertos do citado artigo de Emílio Marini, já por mim rebatido uma semana antes.

Neste caso o autor recusou-se a ler na rádio a resposta que lhe remetemos, com manifesto desrespeito do nosso direito de resposta, e do direito à informação dos seus ouvintes: maus hábitos que infelizmente também contagiavam clérigos. Entretanto, entre outros, o muito prestigiado Assistente Eclesiástico da Junta Diocesana do Porto, Padre António dos Santos, escreveu uma carta de protesto ao Director da Emissora Nacional, Dr. Solari Allegro, cuja resposta incluía esta afirmação de pasmar (pois mostra a atitude de ingerência do gestor da um órgão público de informação numa associação do foro eclesiástico): «que nos programas [de Videira Pires] se pretendera servir a A.C., dessolidarizando-a da Junta Central, que não tem a confiança dos filiados, por desrespeitar os limites do seu mandato» [30].

O diferendo só foi resolvido numa conversa penosa que tivemos com o Dr. Videira Pires, na qual ele se retractou de forma pouco convincente, mas recusando-se sempre a ler na rádio os desmentidos que de viva voz nos fez, e que, com seu conhecimento, acabaram por ser publicados no Boletim da ACP (nº 389, pp. 74-77) ver Anexo V.

Este foi o episódio inaugural e mais ruidoso de uma campanha de denúncia e difamação contra a Junta Central que prosseguiu mais ou menos subterrânea, com ocasionais irrupções na imprensa sobretudo, na rádio e na televisão, e de que o Padre Dr. Videira Pires era o principal tenor.

No entanto, o Cardeal Cerejeira, sempre no posto tutelar de Director Nacional da A.C.P., nunca deixou de manifestar a sua confiança e apoio aos dirigentes que nomeara. E connosco sempre dialogava de forma franca e cordial, sobre os mútuos pontos de vista e preocupações, embora nem sempre concordasse com a nossa estratégia de acção interventora. Por seu lado, a Junta Central e o seu Conselho procuravam exercer junto do Episcopado a possível pressão em favor desta estratégia. Um documento paradigmático, com este propósito, foi aprovado pelo Conselho Parcial, no fim do ano social 1967-68.

O primeiro incidente grave entre a Junta Central e a Hierarquia ocorreu em Setembro de 1968, quando o Director Nacional vetou a recondução do membro da Junta Central Henrique Santa Clara Gomes, por ter assinado uma exposição colectiva de católicos portugueses sobre a encíclica Humanae Vitae [31]. Recorda-se que este documento doutrinário, publicado nesse ano por Paulo VI, abordava os problemas do controle da natalidade em termos que, então, provocaram viva polémica e atitudes críticas, em todo o mundo e também em Portugal.

A Junta Central aceitou esta decisão com apreensão e contrariedade: estas eram porém as regras do jogo, os dirigentes não podiam pisar o risco da ortodoxia tal como a Hierarquia a concebia. Mas não aceitou em silêncio e, logo em Novembro de 1968, remeteu à Conferência Episcopal um documento que partia do incidente particular para uma reflexão mais geral, quanto à «forma como se está a conviver e a dialogar na Igreja na portuguesa, em especial e como tal situação se tende a agravar depois da Humanae Vitae». Embora se trate de um documento «confidencial e reservado», julgo que o lapso de um quarto de século autoriza a sua divulgação (como doutros adiante), e a verdade histórica dessa época crucial, no nosso País e no mundo, a impõe. De resto, o texto encontra-se hoje à disposição dos estudiosos no Centro de Estudos Religiosos da Universidade Católica Portuguesa. Se o transcrevemos na íntegra (ver Anexo VI), é por se tratar de uma peça exemplar da franqueza e frontalidade que a Junta Central mantinha nas relações com o Episcopado, não hesitando em abordar temas dos mais delicados na Igreja de então, e sobre eles dar opinião fundamentada.

Ao lê-lo, passados que são quase trinta anos, fica-se impressionado com a liberdade de expressão praticada no interior da Igreja, num país em que o livre debate era drasticamente reprimido. Tudo mudava, é claro, quando se tratava de declarações públicas. O documento em questão foi tolerado, na sua confidencialidade. Não era porém publicável, nem o Episcopado respondeu à oferta de colaboração da Junta Central, sobre matéria tão explosiva.

Este e outros factos iam provando que, infelizmente, a abertura ao diálogo e à participação dos cristãos leigos na orientação da Igreja tinham fraco eco em Portugal, onde também ainda não haviam sido instituídos os Conselhos Pastoral e o dos Leigos recomendados formalmente pelo Concílio Vaticano II. Tais circunstâncias contribuíam para o mal estar e o sentimento de frustração de muitos militantes da A.C.P., que esperavam em vão uma mudança no estilo de relacionamento com o Episcopado, e de presença da Igreja na sociedade portuguesa. Foi nesses tempos que começou o afastamento de muitos cristãos leigos e sacerdotes.


14. Os manifestos da Junta Central e do Conselho Nacional da A.C.P.

Não obstante, ainda havia uma estreita margem de manifestação pública e a Junta Central não deixou de a explorar: todas as oportunidades foram aproveitadas para dar testemunho sobre problemas que afligiam o País. Mas entenda-se bem os motivos nunca foram de oposição política ou religiosa (a Junta Central e o seu Conselho tinham composição pluralista), antes de imperativo moral no cumprimento da missão e do mandato apostólicos.

Vou a seguir evocar os principais entre esses manifestos públicos da A.C.P., prestados a nível nacional. Se me limito a esse nível que foi o da minha experiência imediata quero deixar bem claro que não era o único, nem o principal. O que realmente importava era todo o dinamismo da actividade dos militantes nas bases dos diversos Organismos Especializados, e se propagava até aos órgãos de topo. Estes, já o vimos, consideravam-se uma emanação da estrutura subjacente, e a sua vitalidade dela recebia alimento e impulso. Vários outros artigos haveria que escrever para dar conta do que foi a acção multiforme dos Movimentos nessa época. Aqui limitar-me-ei aos actos e factos em que pessoalmente participei.


14.1. Manifestos de índole interna e projectos gorados

1968 foi o primeiro ano que começou com a celebração do Dia da Paz o que hoje tem ressaibos de ironia, já que foi o ano em que eclodiu a contestação e a luta estudantil. Além disso a O.N.U proclamou-o Ano Internacional dos Direitos do Homem. Vindo logo após o III Congresso Mundial para o Apostolado dos Leigos, prestou-se, como vimos, à divulgação das resoluções deste, que aos direitos humanos se referiam. Desde o seu início a Junta Central projectou elaborar alguns documentos focando esta temática de grande actualidade em Portugal.

Sobre esse primeiro Dia Mundial da Paz, apareceu em alguns jornais diários um Comunicado do Conselho Parcial da Junta Central da A.C.P. que, depois de exortar os militantes a celebrarem o Dia da Paz na festa tradicional do Ano Novo, e a conhecerem e aprofundarem a doutrina do Concílio e das últimas encíclicas papais sobre a paz, fazia esta afirmação de alcance subversivo na situação política portuguesa, com suas violações dos direitos dos cidadãos e guerras coloniais:

«De nada serviria celebrar o Dia da Paz, no limiar de 1968, se este ano não nos visse avançar no caminho da paz, que "é a única e a verdadeira linha do progresso humano" [32].
Este caminho não pode deixar de se percorrer segundo duas pistas convergentes e complementares.
- A primeira passa por dentro de cada um de nós e conduz a uma orientação da vida para a paz, nas relações pessoais com Deus
[33] e com os homens; na verdade "só haverá paz na sociedade humana se a houver em cada um dos seus membros e se em cada um se instaurar a ordem querida por Deus" [34]. Torna-se portanto necessário, como diz Paulo VI, "despertar nos homens do nosso tempo e das gerações vindouras o sentido e o amor da paz, fundada na verdade, na justiça, na liberdade e no amor (cf. João XXIII, Pacem in Terris)" [35].
- A segunda pista visa a construção da paz na sociedade humana. Trata-se não só de procurar soluções pacíficas válidas para as situações de conflito armado, como ainda de edificar a ordem social sobre aqueles quatro "valores mais altos e universais da vida" [36], proclamados por João XXIII. Mais concretamente, e aproveitando a coincidência de ser 1968 o ano internacional dos direitos do homem, tenhamos presente que uma paz verdadeira só pode ser construída com o respeito e a promoção desses direitos fundamentais, que derivam de eminente dignidade da pessoa humana, e que a Igreja tem vindo tão insistentemente a afirmar, sobretudo na Pacem in Terris e na Gaudium er Spes (ver Anexo VII)

Quanto ao tema dos direitos humanos, foi aprovada e publicada a seguinte orientação (ver Boletim da A.C.P., n.º 391, Agosto-Outubro de 1968, p. 12):
«O Conselho Parcial da Junta Central da A.C.P. reflectiu, em várias reuniões, sobre a posição a assumir em face da celebração em todo o mundo do Ano Internacional dos Direitos do Homem, tendo aprovado sobre esta matéria uma exposição dirigida à Conferência Episcopal Metropolitana (já entregue), e os votos que a seguir publicamos.
Considerando que 1968 foi solenemente proclamado o Ano Internacional dos Direitos do Homem, encontrando-se em curso, na maior parte dos países, significativas comemorações;
Atendendo a que a luta pela promoção e protecção dos Direitos do Homem se reveste de primordial importância e acuidade em todo o Mundo;
Tendo em conta, também, as implicações de ordem moral e religiosa que comportam as violações dos Direitos do Homem;
Tendo em conta o silêncio mantido entre nós à volta da Comemoração do Ano Internacional dos Direitos do Homem, apesar das incidências particulares de que a referida protecção e promoção aqui se revestem,
O Conselho Parcial da Junta Central:
1. Reconhece a necessidade de a A.C.P. prestar o seu contributo, a seu modo, nas comemorações do Ano Internacional dos Direitos do Homem,
2. Recomenda aos diversos Organismos Especializados que, na medida das suas possibilidades, realizem actividades e dêem a sua colaboração às comemorações que porventura tenham lugar,
3. Pede à L.U.C. que, através da Associação dos Jurisconsultos Católicos, promova actividades de que resultem elementos de informação para a A.C.P. sobre os aspectos jurídicos que entre nós condicionam a promoção dos Direitos do Homem.»

Conforme é referido neste comunicado, foi também aprovada uma Exposição do Conselho Parcial da Junta Central à Conferência Episcopal Metropolitana. Transcrevemo-la integralmente (no Anexo VIII) por se tratar de um dos exemplos mais significativos da preocupação de transmitir ao Episcopado, numa atitude de serviço, os resultados da revisão de vida feita, neste caso, pela Junta Central e as Direcções Gerais dos Organismos Especializados, sobre as limitações ao exercício dos direitos do homem no nosso país, e a «atitude de silêncio e não intervenção» que a Conferência Episcopal persistia em manter quanto a esta situação contrária à doutrina do Concílio e dos Papas. Como noutros casos, o documento não teve resposta, nem foi aceite a oferta de colaboração nele formulada.

Nessa época de euforia concebemos o projecto de publicar um Documento da A.C.P. sobre a Paz, tema entre todos escaldante, por causa das guerras coloniais. No início de 1968, a Junta Central promoveu várias reuniões em que participaram elementos da delegação ao III Congresso Mundial para o Apostolado dos Leigos. A redacção estaria a cargo de um grupo de especialistas nas diversas matérias abrangidas, que (segundo apontamentos que conservo), incluíam nomes como Rui Machete, José Vera Jardim, Jorge Sampaio, Vitor Wengorovius, Francisco Pereira de Moura, Mário Murteira, e, pela Junta Central, Rodrigo Sande Lemos, Joana Lopes, Fernando Abreu, e eu próprio. Projecto utópico, o documento não chegou a ser escrito. Depressa se chegou à conclusão de que, ou seria um texto vago e redutor, ou não seria publicável, enquanto feria os tabus políticos fundamentais de então, como se pode avaliar pelos planos que foram propostos para o seu conteúdo e estruturação, que deixo no Anexo IX.

Todavia estas sementes (bem como as lançadas por outros católicos independentes ou agrupados noutras associações) acabaram por frutificar num documento preparado pela Comissão criada pelo Episcopado para a celebração do Dia Mundial da Paz, no limiar de 1969. Intitulado Apresentação do compromisso por ocasião do Dia Mundial da Paz A promoção dos direitos do homem: Caminho para a Paz, nele são claramente propostos os principais direitos do homem, embora a sua aplicação concreta à situação portuguesa fique implícita. A sua extensão e origem num âmbito mais amplo que o da A.C.P. não aconselham a sua reprodução aqui.

O Conselho Plenário, desde o início de 1969, abordou a questão do injusto e doloroso exílio do Bispo do Porto, D. António Ferreira Gomes. Já não era a primeira vez que o fazia, em regra por iniciativa do Presidente da Junta Diocesana do Porto, Jorge Jardim Gonçalves., mas as diligências junto do Episcopado não haviam encontrado eco. Eu próprio, na qualidade de Secretário Geral da Junta Central, visitara o Senhor D. António, em Alba de Tormes, seu lugar de exílio, como manifestação da solidariedade da Acção Católica Portuguesa. Mas agora, a oportunidade era favorável, devido à deposição de Salazar e ao clima da chamada Primavera Marcelista. O Conselho Plenário aproveitou-a e tomou um conjunto de atitudes frontais. Na sessão de 11 e 12 de Janeiro aprovou a seguinte resolução:
«Tendo-se tomado conhecimento de que, em sua última reunião, o Conselho Plenário da Junta Diocesana da A.C. do Porto reflectira acerca da situação do Senhor D. António Ferreira Gomes, este grave problema da Igreja em Portugal foi também motivo de amplo diálogo entre os participantes neste Conselho que, no final, exprimiu os dois seguintes votos:
1. A A.C.P. reunida em Conselho Plenário da Junta Central, solidarizando-se com o Conselho Plenário da A.C. do Porto, manifesta a sua preocupação sobre a situação do Senhor Bispo do Porto, afastado do governo da sua Diocese, o que constitui motivo de dor para a Igreja em Portugal, e exprime o voto de que seja esclarecida e resolvida esta situação.
2. Que o Conselho peça à Junta que procure obter do Episcopado ou da Nunciatura Apostólica informação completa sobre a situação do Senhor D. António Ferreira Gomes.»
[37]

Na reunião seguinte (em 31 de Maio e 1 de Junho) o Conselho insistiu, endereçando votos ao Cardeal-Patriarca de Lisboa, ao Núncio Apostólico e ao Presidente do Conselho de Ministros (ver Anexo X). Quando, enfim, o Senhor D. António regressou, a Junta Central saudou-o efusivamente, de viva voz e no Boletim da A.C.P. (ver Anexo XI), em cujo nº 396 (Setembro-Outubro de 1969) foi reproduzida uma sua entrevista, recentemente publicada no
Boletim de Acção Pastoral.

Nas mesmas duas sessões, particularmente fecundas, o Conselho Plenário, abordou a questão de dar continuação às Semanas Sociais Portuguesas (suspensas há 17 anos), deliberando tomar a iniciativa de organizar a 5ª Semana subordinada ao tema Direitos Cívicos, então prioritário para a A.C.P. [38]. Entretanto o Episcopado resolvera chamar a si a assunto, através da Comissão Episcopal para a Acção Social e Caritativa, muito embora a iniciativa tivesse antes cabido à Acção Católica. Na sessão seguinte, o Conselho Plenãrio decidiu «(...) encarregar a Junta Central de promover junto desta Comissão as necessárias diligências no sentido da referida restauração com a possível urgência» [39]. As diligências foram porém infrutíferas, e as Semanas Sociais não chegaram a ressuscitar.


14.2 Manifestos de maior projecção pública

Ao contrário, a outra decisão teve pleno êxito, e pode dizer-se que marca uma mudança de estratégia. Em vez de insistir para que o Episcopado interviesse sobre temas político-sociais, a Junta Central e o seu Conselho resolveram exercer directamente essa função, sem a mesma autoridade, é claro, mas por força da sua condição específica de leigos investidos de uma missão apostólica. Daí o teor dessa resolução:
«O Conselho Plenário, em seguimento da reflexão que, desde há meses, a Acção Católica vinha fazendo, em plano nacional, acerca da necessidade dum Estatuto Jurídico que, entre nós salvaguarde o direito a uma informação livre e responsável, aprovou um documento intitulado: A A.C.P. e os Meios de Comunicação Social: O Problema do Direito à Informação, que se junta aos presentes Votos e Conclusões e se pretende seja testemunho e contributo público da A.C.P. para solução dum problema de interesse vital para a promoção, no nosso país, dos direitos do homem». A Hierarquia homologou a publicação, e a sua projecção foi considerável (ver Anexo XII).

Hoje, este documento parecer-nos-á demasiado didáctico, e algumas formulações doutrinárias fá-las-íamos de diferente modo, para evitar ambiguidades e precisar os conceitos [40]. Para a época, privada da prática do direito à informação e da liberdade de expressão, esse didatismo permitia, porém, esclarecer e estabelecer o quadro doutrinário inexistente, fundado em textos do Concílio, do Papa e de Bispos europeus. Mas logo que o texto passa à apreciação crítica da situação portuguesa, a sua frontalidade é excepcional para esses tempos. Não só denuncia as restrições dos direitos no campo da informação, como noutros domínios o de participação na vida pública, e mesmo, implicitamente, o problema fulcral das guerras no Ultramar (que eram o alibi oficial para manter o regime de censura): «Esse direito (à informação), para além da sua importância própria, é condição para que outros direitos fundamentais possam ser eficazmente prosseguidos, muito particularmente o da participação de cada um na vida pública» (Cfr. Declaração Universal dos Direitos do Homem, nº 19, e Pacem in Terris, n.os 12 e 26).

Atente-se também neste trecho de crítica frontal:
«Dezenas de anos de regime de excepção para a informação tornaram dolorosamente consuetudinário um clima de irresponsabilidade e de limitação que obstaram à formação da mentalidade portuguesa num espírito de verdade e de são pluralismo e à legítima participação (crítica, doutrinária ou técnica) de várias correntes de opinião não dominantes, empobrecendo-se assim gravemente o património nacional, tão necessitado de valores realmente animados do desejo de servir.»

E note-se a solução proposta, que só veio a ser instituída depois do 25 de Abril de 1974:
«Tudo isto nos deve tornar conscientes da urgente necessidade de se criarem condições favoráveis ao exercício do direito à informação, com base nos princípios invioláveis da liberdade e da verdade na responsabilidade. Nesse sentido, parece-nos que qualquer progresso deve visar a abolição da Censura prévia, criando um estatuto jurídico que efectivamente salvaguarde os direitos de todos os interessados no processo informativo, desde o jornalista ao leitor. Tal estatuto jurídico só poderá encontrar as necessárias independência e imparcialidade se entregue a instâncias legais obviamente independentes do executivo. Por outro lado, cabe à autoridade civil um papel muito importante: impedir o monopólio dos meios de informação pelos detentores do poder económico ou político e possibilitar que as correntes de opinião minoritárias e os sectores sociais mais desfavorecidos tenham justo acesso a esses meios. Assim se servirá, efectivamente, o bem-comum; julgamos que o Estado não deve imiscuir-se de outro modo no sector informativo: compete-lhe garanti-lo, promovê-lo, e nunca impedi-lo.»

A reacção das autoridades a este texto incisivo não se fez esperar. O Boletim da A.C.P. passou a ser submetido à censura prévia, desde o seu nº 396 (Setembro-Outubro de 1969), cujo editorial comentou o acontecimento com mordaz ironia (ver Anexo XIII). Mais tarde, fui uma vez chamada à Direcção dos Serviços de Censura, onde me fizeram saber que os órgãos directivos da A.C.P. estavam infiltrados de cripto-comunistas... Ao que respondi, naturalmente, que aqueles com quem colaborava me mereciam inteira confiança, e que, com os demais dirigentes, tinham todos sido homologados pela Hierarquia Eclesiástica.

O Conselho Plenário seguinte, realizado a 18 e 19 de Outubro de 1969, discutiu e aprovou um muito incisivo documento de reflexão sobre a participação na campanha eleitoral e nas eleições legislativas que se realizariam em breve. E acompanhou esta (que era a 2ª Conclusão) do seguinte voto com que a submeteu a homologação superior: «Atendendo a que a Nota sobre o actual momento político (ref.ª nº 367/68-69), aprovada em Conselho Plenário da A.C.P., deve ser publicada na imprensa durante o actual período eleitoral, solicita-se ao Ex.º Episcopado que se pronuncie em tempo útil, pedindo desculpa de não ter sido possível preparar o documento mais cedo» [41].

O despacho de homologação, datado de 4 de Dezembro, reza assim: «(...) Havemos por bem homologar todas as referidas Conclusões, salvo a 2ª. Quanto a esta, a publicação do documento a que ela se refere não pareceu oportuna, dada a proximidade do acto eleitoral, com o risco de não ser compreendida no sentido da sua isenção política; acresce a razão de não ter sido possível ao Episcopado avaliar convenientemente o conteúdo do mesmo documento dentro do curto espaço de tempo em que a sua homologação era pedida. a) M. Card. Patriarca» (cf. Boletim da A.C.P. nº 397, p. 52). No que resta dos arquivos da Junta Central, consegui encontrar o documento Refª. nº. 367/68-69 que tudo indica ter sido o texto aprovado no Conselho Plenário em questão, e que transcrevo no Anexo XIV.

A Junta Central não esmoreceu perante esta atitude cautelosa do Episcopado e, logo no Boletim seguinte, publicou uma Nota sobre o direito e o dever de participação na vida política, em que o tema era abordado como um exercício de revisão de vida, método específico da Acção Católica. E conquanto a formulação seja menos incisiva, e feita em termos mais gerais, uma boa parte da Nota anterior é aproveitada (reciclada, por assim dizer). O texto completo que se encontra no Anexo XV, depois de afirmar a obrigação de independência política da A.C.P., parte da experiência vivida pelos militantes dos diversos Movimentos durante o período eleitoral, para uma reflexão, à luz do Evangelho e do ensino da Igreja, da qual se deduzem princípios éticos para o compromisso dos cristãos na vida política.

Trata-se, ainda, de um documento didáctico mas, mais do que qualquer outro, critica as restrições ao exercício dos diversos direitos do homem, verificados na situação política portuguesa: «aos direitos de informação, de liberdade de expressão, de reunião e de associação, bem como certas deficiências no regime de segurança jurídica e no actual sistema de ensino, pouco apto a despertar as pessoas para os problemas nacionais». E também afirma claramente que não é legítima para um cristão qualquer opção política «que tolere a opressão e o atropelo de direitos fundamentais». Declara, enfim, que
«o cristão deve empenhar-se na transformação das mentalidades e das estruturas, para a construção de uma ordem social mais justa, que respeite e promova todos os princípios e direitos fundamentais proclamados pela Igreja para o mundo de hoje e não só alguns».

Este, que foi o último manifesto publicado pela Junta Central em que participei, é sem dúvida o mais completo na formulação doutrinária, e o mais abrangente na crítica da situação portuguesa de então e com o anterior constitui uma verdadeira suma do nosso pensamento apostólico de intervenção na sociedade portuguesa.

O caso da Capela do Rato está a ficar na história como símbolo de oposição aberta e corajosa rebelião de católicos independentes contra o regime político, e as guerras coloniais em particular. Embora a capela pertencesse à J.U.C. diocesana, a Junta Central não foi solicitada a assumir uma atitude oficial. Pessoalmente, conversei com o Cardeal Cerejeira sobre a violência e a afronta à Igreja que representava a invasão da capela pela polícia, com prisão de dezenas de participantes, e estou convicto de que as diligências do Senhor Patriarca foram decisivas para os detidos serem postos em liberdade, sem longa demora, nem processo penal.

Nessa época houve, porém, outros casos de repressão policial, menos gritantes mas não menos violentos. Um deles foi o impedimento da realização de um curso organizado pela J.U.C. portuense, sobre o tema Análise e Perspectivas da Sociedade Portuguesa que deve ter excitado os receios das autoridades. Em sinal de protesto, o Conselho Parcial da Junta Central, em reunião extraordinária de 28 de Março de 1970, aprovou por unanimidade a seguinte Moção sobre os acontecimentos do Porto, em 16 de Março de 1970, dirigida ao Episcopado:

«O Conselho Parcial da A.C.P., tomou conhecimento pelo Presidente da Junta Diocesana do Porto dos acontecimentos ocorridos no dia 16 de Março de 1970, quando a polícia, sem aviso prévio, invadiu a Sede daquela Junta, impedindo a realização de um curso organizado pela J.U.C. diocesana. O Conselho manifestou-se solidário com a acção, nessas circunstâncias, desenvolvida pelo Presidente da Junta Diocesana do Porto e com os protestos formulados às autoridades competentes pela mesma Junta Diocesana e respectivo Conselho.
Esperando que este assunto seja resolvido no plano local o Conselho fica atento ao desenrolar das suas consequências para, no entanto, sobre elas reflectir com vista a uma intervenção oportuna.
O Conselho decidiu ainda voltar a este assunto na próxima reunião ordinária para reflectir sobre o problema de fundo da situação jurídica da A.C.P., nomeadamente quanto ao exercício do direito de reunião, com o objectivo de preparar o seu debate no Conselho Plenário seguinte»
[42].


15. A actualização da Acção Católica Portuguesa

Neste clima animado e um tanto acidentado, ia-se processando o estudo da remodelação estatutária da A.C.P.. O trabalho preparatório esteve inicialmente a cargo da Comissão de Reestruturação, coordenada por José Manuel Galvão Teles, que depois foi o membro da Junta Central encarregado dessa tarefa. Mais tarde, por proposta do Conselho da Junta Central, a discussão e redacção dos textos finais, a submeter à aprovação do Episcopado esteve a cargo de uma Comissão mista, formada por delegados da Conferência Episcopal e por um grupo de diálogo eleito por aquele Conselho [43] . Os trabalhos desta Comissão mista começaram em 8 de Fevereiro de 1969, e decorreram num clima desinibido, como se de uma negociação paritária se tratasse. Partia-se de textos apresentados pelo grupo dos representantes leigos, que haviam sido elaborados na Comissão de Reestruturação e, depois, discutidos e votados pelo Conselho Nacional, em sessões plenárias. Os textos finais submetidos à aprovação da Conferência Episcopal resultavam dos consensos conseguidos na Comissão mista de diálogo.

Se noutras circunstâncias, atrás referidas, o diálogo com o Episcopado fora difícil, senão impossível, neste caso decorreu de modo franco e cordial. Apenas se registou um incidente grave devido ao facto de a Comissão Episcopal para o Apostolado dos Leigos ter decidido suspender o diálogo sobre a actualização, por José Manuel Galvão Teles (membro da equipa de leigos) ter colaborado nos cadernos do GEDOC (que tinham uma orientação de crítica à situação política). O Conselho Plenário da Junta Central não aceitou esta atitude, e aprovou a seguinte resolução, na reunião de 31 de Maio e 1 de Junho de 1969:

«I - Revisão da Comissão de Diálogo: Tendo o Conselho tomado conhecimento das razões que levaram a Comissão Episcopal a suspender o diálogo sobre a actualização da Acção Católica Portuguesa com a Comissão eleita por este Conselho em 12 de Janeiro de 1969, decidiu:
1.- ratificar a sua confiança em todos os membros da referida Comissão, nomeadamente no José Manuel Galvão Teles;
2.- continuar a considerar o José Manuel Galvão Teles como elemento competente e intérprete fiel do pensamento do Conselho no diálogo com o Episcopado sobre a actualização da A.C.;
3.- por este motivo e perante os resultados já alcançados, o Conselho manifesta a sua apreensão pela interrupção de um trabalho de diálogo que se revelou frutuoso e que ardentemente se deseja;
4.- o Conselho Plenário faz um apelo à Comissão Episcopal para que, numa atitude de diálogo, prossiga, urgentemente, o trabalho com a mesma Equipa. Neste sentido, o Conselho Plenário encarrega a Junta Central de promover as diligências necessárias»
[44].

As conversações estiveram suspensas até Outubro, quando o Conselho da Junta Central decidiu prossegui-las sem a presença de Galvão Teles que, entretanto, se candidatara a deputado numa lista do CDE - o que constituía, de facto, um compromisso político partidário. Daí por diante decorreram em excelente clima e ritmo. Assim, em fins de 1970, a Comissão mista chegou a acordo sobre um projecto de Princípios Básicos orientadores da actualização que, em 24 de Junho de 1971, foram aprovados pela Conferência Episcopal, a título experimental, por cinco anos.


16. As inovações dos Princípios Básicos

O confronto destes Princípios Básicos com as Bases Orgânicas de 1933 (revistas em 1945), mostra a longa caminhada realizada pela A.C.P., na concepção do seu modo de estar na sociedade e de funcionar internamente. Trata-se de um extenso texto, muito denso de sentido, fundamentado na doutrina do Vaticano II sobre a Igreja, a sua postura no mundo contemporâneo e o apostolado dos leigos, e na longa prática da acção católica. Não cabe, aqui, transcrevê-lo na íntegra, e resumi-lo é uma tarefa difícil [45]. Tentarei apenas assinalar alguns aspectos que marcam as principais diferenças entre a concepção actual e a inicial, de 1933.

O capítulo I, Natureza e missão da Acção Católica, é o fulcro doutrinário de toda a nova concepção, e torna-a isenta das características negativas atrás referidas na formulação crítica do Bispo do Porto (cf. o parágrafo final da secção 8). Em vez da definição tradicional, que acentuava a dependência da Hierarquia, abre com a definição da finalidade e da natureza associativa (nas citações seguintes os sublinhados são nossos):
«I-1. O fim imediato da Acção Católica é o fim apostólico da Igreja: levar aos homens a mensagem e a graça de Cristo, formar-lhes as consciências e, a seu modo, penetrar e actuar com o espírito do Evangelho as realidades temporais (Cf. AA. 20 e 5). Estas dimensões do apostolado, embora se possam distinguir conceptualmente, não se podem separar na vida dos leigos - muito menos sendo estes militantes da A.C. - e constituem obrigação global desta.»

Com esta clareza meridiana são, desde logo, atribuídas à A.C.P. as três dimensões inseparáveis do apostolado dos leigos: a difusão da mensagem cristã, a formação das consciências nela, e a animação cristã da ordem temporal (segundo o termo técnico expresso no Concílio, que significa a sociedade civil). As modalidades desta tríade são a seguir especificadas. E cito, pela sua novidade, o ponto que ao último aspecto se refere:

«I-4. Relativamente à animação cristã da ordem temporal:
4.1. A A.C. deve contribuir a seu modo para a divulgação e o desenvolvimento da doutrina cristã sobre as realidades terrenas e formar nela a consciência dos leigos, designadamente pela forma expressa em 6.
4.2. Os movimentos que são A.C. devem estimular e formar os seus filiados para assumirem as suas responsabilidades e comprometerem-se como cidadãos no trabalho de construção do mundo, sobretudo da sociedade portuguesa, segundo as exigências cristãs.
4.3. A A.C. não deve comprometer-se com programas concretos em matéria temporal, devendo, porém, exercer a função esclarecedora e crítica da fé, em relação aos princípios que os informam. Todavia, em certos casos, supletivamente, a A.C. poderá por exigência de evangelização, sem prejuízo das suas finalidades, organizar ou cooperar em realizações de promoção humana.
4.4. No exercício do seu apostolado, segundo o método indicado em 6. e tendo em atenção 4.3., a A.C. poderá tornar públicas as declarações resultantes da aplicação dos princípios cristãos a situações e factos de vida concretos. Ao fazê-lo, por sua iniciativa e sob a responsabilidade que lhe cabe, deverá ter em conta e nunca contrariar declarações doutrinais ou orientações pastorais expressas da Hierarquia. Estas declarações, todavia, não devem ser tornadas públicas sem conhecimento e acordo prévios da Hierarquia competente.
4.5. As opções concretas, designadamente em matéria temporal, tomadas a título pessoal pelos filiados e dirigentes, não comprometem a A.C.. No entanto, como sinal de independência política da A.C., não deverão os seus dirigentes ou membros das equipas coordenadoras exercer simultaneamente funções directivas ou de propaganda em agrupamentos políticos.»

O ponto I-6, acima citado, é fundamental por estabelecer a revisão de vida como metodologia da A.C.P., e marca o novo estilo que se vinha praticando:

«6. O apostolado que a A.C. como movimento de leigos deve realizar, implica:
6.1. Prestar atenção aos acontecimentos e descobrir neles as aspirações e necessidades dos indivíduos e da sociedade, tendo em conta especialmente aqueles que se imponham pela sua generalidade e frequência.
6.2. Formular, à luz do Evangelho e do Magistério da Igreja, um juízo sobre o valor e significado das realidades descobertas, procurando discernir os apelos de Deus presentes na vida.
6.3. Desenvolver uma acção dinâmica, pessoal e de grupo, pela palavra e pela actuação, que seja testemunho do Evangelho, resposta cristã aos problemas do homem, de modo a imbuir de espírito cristão as diversas comunidades e meios.»


Novidade também era a afirmação do princípio de bilateralidade na cooperação entre a A.C.P. e a Hierarquia. O ponto I-8 reconhece que
«a A.C. coopera com a Hierarquia pondo a experiência dos leigos, inseridos nas diversas comunidades e meios, ao serviço da Igreja, no estudo das circunstâncias e condições em que a Pastoral se há-de realizar, bem como na elaboração e execução dos respectivos planos».

E o ponto I-9 prevê um duplo movimento de comunicação com a Hierarquia, ascendente e descendente, ao estipular que a A.C. tem
«particular responsabilidade em tornar presente a Igreja nos diversos meios e comunidades de vida» e, por outro lado, possui «qualificada competência para tornar presentes à Igreja as realidades, valores e problemas nuns e noutras descobertos.»

Como nota distintiva, é reconhecido um laço particularmente estreito entre a A.C. e a Hierarquia, pelo facto de o apostolado da A.C. se realizar «em regime de mais directa co-responsabilidade com a Hierarquia na missão apostólica da Igreja, (...) em coordenação com o apostolado da Hierarquia e por se ordenar mais directa e amplamente à realização dos objectivos pastorais da Igreja» (cf. I-14).

Esta «vinculação mais directa e imediata pelo facto de a Hierarquia a unir mais intimamente ao seu próprio múnus, e, consequentemente, assumir nela responsabilidade especial», implica pertencer ao Episcopado «a superior orientação da A.C. (cf. AA. 20, d)» (I-15.). Esta orientação abdica do poder executivo, a função de Director Nacional deixa de existir. «As relações orgânicas da A.C.P. com o Episcopado, a nível nacional far-se-ão entre o Conselho nacional da A.C.P. e a Conferência Episcopal Metropolitana» (cf. IV-5.1); e as relações habituais serão entre a Equipa Executiva Nacional e um «Bispo para isso designado pela Conferência Episcopal» (cf. IV-5.2). E, como é próprio de um acordo negociado, a «superior orientação» era especificada e circunscrita, no último ponto deste primeiro capítulo, que embora longo é importante transcrever na íntegra:

«I-16. Esta superior orientação, que respeita sempre a natureza e distinção de ambas as partes e não tira aos leigos a necessária liberdade de acção (cf. AA. 24), situa-se num plano diferente da direcção laical e concretiza-se do seguinte modo:
16.1. Reconhecimento e declaração oficial de que um determinado Movimento é ou não é de Acção Católica;
16.2. Aprovação dos Estatutos dos Movimentos que são Acção Católica;
16.3. Aprovação dos planos gerais de acção de conjunto, decididos pelo Conselho Plenário Nacional ou por cada um dos Conselhos Plenários Diocesanos;
16.4. Aprovação dos candidatos a dirigentes a nível nacional ou diocesano, bem como sua exclusão, ou mesmo a destituição de dirigentes em exercício, sempre que, por actos da sua conduta pessoal ou no exercício das suas funções, sejam gravemente infiéis à natureza e missão da Acção Católica, tal como são definidas neste documento;
16.5. Nomeação dos assistentes;
16.6. Atenção à formação dos filiados e à preservação da doutrina e da ordem tendo em conta o bem comum da Igreja (cf. AA. 24), o que fará especialmente pela acção dos assistentes;
16.7. Proposição clara dos princípios relativos ao valor das realidades terrestres e à sua ordenação ao serviço da pessoa humana, considerada a sua vocação temporal e eterna;
16.8. Reconhecimento e definição do papel e lugar que, de acordo com as suas características essenciais, cabe à A.C. na pastoral orgânica, ouvindo a sua opinião e considerando a sua experiência;
16.9. Apoio à A.C. que incentive o trabalho dos dirigentes e assistentes, compartilhando os seus problemas e realizações e ajudando-os nas suas dificuldades;
16.10. Tomar conhecimento do relatório anual e contas da A.C. em plano nacional e em cada Diocese.»

Os capítulos seguintes [46] estabelecem as disposições para a A.C.P. se organizar e funcionar como uma federação de Movimentos, constituídos e dirigidos por leigos; dirigentes que são eleitos pelos órgãos associativos de deliberação, entre candidatos que, só nos âmbitos nacional e diocesanos, são previamente aprovados pela Hierarquia. As Juntas foram substituídas por Equipas Executivas, uma em cada diocese e uma nacional. Dotadas de funções directivas, emergem dos Conselhos Diocesanos e Nacional formados, aqueles, pelos presidentes diocesanos dos Movimentos, este, pelos respectivos presidentes nacionais e pelos presidentes dos Conselhos Diocesanos.

Cada um dos Conselhos elege o seu presidente e dois secretários, que o são também da Equipa Executiva, competindo ao presidente escolher os restantes membros, em número aprovado pelo Conselho (do qual também farão parte). Assim a A.C.P. passa a estruturar-se a partir da base para o vértice, e a funcionar, segundo regras participativas, em resposta às realidades vividas pelos militantes, nos diversos meios sociais e níveis estruturais.

Pretendeu-se criar uma estrutura associativa do laicado, com uma amplitude abrangente de toda a sociedade. A sua relação privilegiada com a Hierarquia Eclesiástica, traduzia-se na orientação doutrinal e em certos poderes de supervisão bem delimitados. Mas a orientação e a responsabilidade da acção pertencia aos leigos. E assim permitia uma maior latitude de intervenção sem comprometer o Episcopado. Era uma aposta ousada, menos sujeita do que anterior a possíveis ambiguidades, mas não isenta delas. Seria possível cumpri-la, na situação portuguesa de então?...


17. O declínio da Acção Católica Portuguesa

Os tempos, entretanto, estavam mudando rapidamente, e a época pós-conciliar via acentuarem-se tensões demolidoras dentro da Igreja, atingindo por vezes níveis de ruptura. Em Portugal, os exemplos mais dramáticos foram os casos do Padre Nascimento, do Padre Felicidade Alves e da Capela do Rato. No fim da década de 1960 e início dos anos 1970, padres abandonam o sacerdócio, cristãos separam-se da Igreja, militantes de escol deixam a Acção Católica, sem que se encontrem vias de conciliação e concórdia. Politicamente, as tensões também se agravam com o fracasso da breve primavera do Marcelismo, e a persistência desesperada e inglória das guerras coloniais, sem quaisquer tentativas de solução pacificadora (para além do manifesto frustrado do General Spínola).

Neste ambiente crescentemente hostil, a A.C.P. não conseguiu reestruturar-se, nem revitalizar-se, segundo o modelo proposto pelos Princípios Básicos. A situação parece tão mais paradoxal quanto estes Princípios, longamente meditados e laboriosamente negociados com a Hierarquia, criavam, como vimos, as condições desejadas para a A.C.P. se estruturar de forma democrática, e agir com maior grau de autonomia e responsabilidade.

Foi então que saí da Junta Central, por motivos de ordem profissional, mas também desgostoso pela forma como se processavam as relações do Episcopado com a Acção Católica. Lembro-me que quando me despedi do Cardeal Cerejeira, sempre em termos cordiais, o Senhor Patriarca disse que tinha esperado ser possível unir os leigos cristãos para uma acção comum. Só que, na situação sócio-política portuguesa de então era impossível pensar num «cor unum et anima una» (como propunha o velho lema da A.C.P.).

Não tendo acompanhado o que aconteceu desde fins de 1970, vou socorrer-me da opinião autorizada do Cónego António dos Santos, no já citado artigo Revisão Histórica da Acção Católica Portuguesa, que assim o descreve:
«Após a elaboração e aprovação das Bases, esperava-se uma viragem, um recomeço de vida nova; que um novo dinamismo impulsionasse os diversos Movimentos da A.C. para não só reencontrarem a sua identidade, como ocuparem o seu lugar específico na Pastoral da Igreja. Isto não aconteceu. Pelo contrário, a crise acentuou-se cada vez mais, na década de 70. Muitos militantes abandonaram os Movimentos. Uns por cansaço, outros por não concordarem com as orientações dadas, por acharem que os Movimentos eram pouco reivindicativos, não se comprometiam na vida, não assumiam posições concretas nos problemas da vida nacional» (op. cit., p. 41) [47].

Parece que um clima de desencanto se vai insinuando, tanto do lado dos leigos, como da Hierarquia, assim caracterizado pelo Cónego António dos Santos:
«Surgiram as dúvidas e as suspeições. Os que ficaram, em número reduzido, também se interrogavam sobre a validade da sua presença e actuação. Dir-se-ia que a A.C.P. estava entregue à sua sorte. Apesar das declarações oficiais de aprovação e de apreço, havia reticências e, concretamente, não se viu um esforço sério para clarificar a situação e ajudar a sair do impasse. A A.C. perdeu, nestes anos, parte da sua credibilidade. (...) O Episcopado ao aprovar as Bases, tinha aprovado o período de cinco anos de experiência. Parece-nos que pouco ou nada se tentou nesse sentido e a experiência processou-se no vazio e na quase indiferença. O problema não era de textos, de instrumentos jurídicos, era, principalmente, de pessoas. Era um problema de orientação doutrinária e, também, de discernimento» (op. cit., pp. 41-43).

Sem uma investigação aprofundada (que implica a consulta de documentos hoje inacessíveis) não é possível detectar as causas múltiplas desta paradoxal decadência. Não podendo empreendê-la, limitar-me-ei a aventar uma hipótese que se me afigura plausível. A hipótese de ter prevalecido no sector mais influente do Episcopado um complexo de receio e desconfiança em relação aos Princípios Básicos. É certo que estes haviam obtido o acordo da Comissão delegada pela Conferência Episcopal. Por isso tinham de ser aprovados. Mas importava armar-se de cautelas, para moderar a dinâmica resultante da sua aplicação. E pela experiência recente, essa dinâmica ameaçava tomar proporções inquietantes para a estratégia conciliadora desde há anos seguida pela Hierarquia da Igreja para com o Estado Novo. Esta hipótese encontra sustento em duas ordens de factos.

O êxito na concretização da nova estrutura e a sua coesão dependiam, em grande parte, da constituição de Equipas Executivas diocesanas e nacional que, como dissemos, emanassem dos Movimentos, e estivessem profundamente empenhadas no processo de actualização. Tal não sucedeu, porque, em Outubro de 1970, aproveitando a minha saída e de outros membros da Junta Central, o Cardeal Patriarca (ainda Director Nacional da A.C.P.) nomeou novos dirigentes «que na sua maioria não estavam ligados ao trabalho realizado». Fê-lo sem adoptar o procedimento prescrito nos Princípios Básicos (já aprovados na Comissão mista, mas ainda não na Conferência Episcopal), nem consultar os Presidentes Gerais dos Organismos e das Juntas Diocesanas [48]. E, depois da aprovação, a situação não foi prontamente corrigida.

Como observa o Cónego António dos Santos: «A própria Equipa dirigente, no plano Nacional, que acompanhou a elaboração das Bases, desapareceu. Vieram para a Equipa Executiva Nacional novos dirigentes, que na sua maioria não estavam ligados ao trabalho realizado. Pareciam até, um pouco estranhos à organização, e desconhecidos pelos dirigentes dos Movimentos, embora revelassem boa vontade. Isto criou algumas hesitações e equívocos, e a própria Equipa Nacional sentiu-se isolada. Os Boletins da A.C.P. dos anos 71 e 72 e que são os últimos, revelam isso mesmo. Revelam, até, um certo pessimismo e angústia» (op. cit., p. 43).

Um sinal dessa tão estranha apatia está patente no Boletim da A.C.P. (n.º 402, Julho a Dezembro de 1971). Ao justificar os atraso na publicação, o novo Secretário Geral mostra pouco entusiasmo pela orgânica definida nos Princípios Básicos, que critica em vários pontos, e faz esta espantosa confissão:
«Com a aprovação dos Princípios Básicos, e dada a ténue estrutura unitária que neles se consagra, muitas dúvidas nos assaltaram sobre a pertinência de um Boletim (...) de toda a Acção Católica Portuguesa: foi sobretudo a intenção de não comprometer este último reduto de unidade orgânica (...) o intuito de legar a quem suceder, após este breve interregno, uma sombra do último traço de união de toda a Acção Católica: dele se fará o que estiver nos desejos dos futuros responsáveis».

Os Princípios Básicos estavam em vigor desde 24 de Junho, e em fins de Dezembro nada a Junta Central fizera para dinamizar as alterações estruturais. O simples facto de qualificar de «ténue» a nova «estrutura unitária» e considerar o Boletim «o último reduto da unidade orgânica» (sic!) só pode revelar a falta de entendimento do dinamismo de que os Princípios eram expressão e pretendiam ainda catalizar. A nova forma da A.C.P. era federativa - já o dissemos -, mas a experiência dos últimos anos de facto também o fora. Durante a preparação da actualização, a Junta Central e o seu Conselho foram o principal motor e factor de unidade; e assim tinham de continuar até passarem o testemunho aos futuros Conselho e Equipa Nacionais.

A cessação desta dinâmica desmotivou, por certo, os militantes dos Movimentos que muito esperavam da aplicação dos Princípios, impulsionada por quem tivesse vivido a sua génese, e se devotasse a pô-los em prática. Foi, seguramente, uma das causas principais do inadmissível «interregno», no qual a Acção Católica perdeu o passado dinamismo; e começou a esboroar-se a sua unidade, que os Princípios também consagravam, embora noutros moldes.

Outro sinal convergente descobrimo-lo na análise comparativa dos Princípios Básicos com o texto da Carta Pastoral da Conferência Episcopal, de 27/6/1971, que os aprovou e prefaciou. Ao aprovar os Princípios Básicos, sem qualquer alteração, o Episcopado, ipso factu, fazia-os seus, e recriava a Acção Católica fundada na doutrina, abundante e conciliar, que os imbuía e justificava. Assim sendo, num limite de síntese, bastaria anteceder o texto dos Princípios de uma a breve introdução decisória. Mas se pretendesse exercer mais extensamente a sua legítima missão doutrinal, podia, na Carta Pastoral, explicar essa mesma doutrina, confirmá-la, reforçá-la, mas sem deixar dúvidas sobre a sua validade. Caso
contrário perfilava-se a figura de uma contradição.

Qualquer legislador, quando promulga um diploma legal, fá-lo anteceder de um preâmbulo doutrinário, em que fundamenta o objectivo e a oportunidade das disposições tomadas e das alterações introduzidas ao statu quo. Ora, no nosso caso, vamos ver que assim não acontece.

A sensação que muitos tivemos, ao lê-la, foi de que a Carta Pastoral (não obstante a sua riqueza doutrinária) ao aprovar «de bom grado» os Princípios Básicos, não os perfilhava plenamente. E, em vez de relevar, justificar e valorizar a sua concepção e as inovações que traziam (como seria legítimo esperar) preferia expor uma doutrina geral que parecia antes infirmá-las. Sendo o conceito de Acção Católica abstracto, é susceptível de várias concretizações institucionais. A cooperação dos leigos com a Hierarquia na missão apostólica da Igreja traduziu-se em estruturas diferentes, nos diversos países em que foi criada. Os Princípios propunham o modelo concreto que a Comissão mista de delegados episcopais e leigos considerara a mais adequada, hic et nunc, para a futura organização e funcionamento da A.C.P.. Mas a Pastoral deixa sérias dúvidas que assim seja. Sem assumir uma atitude crítica aos nossos Bispos - com quem sempre mantive e mantenho relações respeitosas da sua dignidade de Sucessores dos Apóstolos, e de muitos muito recebi, com uma amizade nunca esmorecida -, nem ousar uma análise exaustiva, procurarei indicar alguns dos aspectos que então causaram essa sensação de incerteza e mal estar.


18. Carta Pastoral versus Princípios Básicos ...

A Carta Pastoral começa por aprovar e publicar os Princípios Básicos [49], e logo elogia a A.C.P. em termos calorosos [50]. Com plena oportunidade, esboça a seguir um quadro dramático de problemas ético-sociais e eclesiais, julgados os mais graves:
«Em particular, preocupa-nos, no nosso país, a escassez das vocações sacerdotais, a ignorância religiosa e a debilidade cristã de vastos sectores da população, a desafecção eclesial de alguns jovens e adultos, a invadente corrupção dos costumes, o perigo do laicismo que ameaça as famílias e as instituições sociais, a "miséria imerecida" que oprime muitas pessoas do nosso meio rural, a injustiça que desumaniza as relações de trabalho e gera o ódio no coração dos operários, a contestação que, dentro e fora da Igreja, opõe grupos contra outros grupos e dificulta o crescimento do Reino de Deus na terra.»

Questões ingentes, é claro, que também apoquentavam a A.C.P.. Nota-se, porém, a omissão significativa de algumas de natureza estrutural, tais como as restrições ao exercício dos direitos humanos, que a Acção Católica, como vimos, vinha criticando, e insistindo com o Episcopado para que sobre eles tomasse posição. Seria uma óptima ocasião, que fica desaproveitada, pois que, nessa área, apenas são mencionadas «a miséria imerecida» nos meios rurais, e «a injustiça que desumaniza as relações de trabalho e gera o ódio no coração dos operários».

De seguida, o mandato dos leigos é renovado, mas os termos são os da Base I de 1933, não os dos Princípios: «Como na hora da sua fundação, repetimos hoje à Acção Católica Portuguesa o convite solene para que continue a trabalhar ardorosamente na vinha do Senhor e renovamos-lhe o honroso encargo de connosco e sob a nossa superior orientação, "difundir e defender os princípios católicos na vida individual, familiar e social" [51]».

Esta formulação foi recebida com certa amargura por muitos militantes que tanto se esforçavam por dar à A.C.P. um rosto actual e outro, bem diferente do que recebera à nascença (havia quase 40 anos), porque outros eram os sinais dos tempos. Impressão que mais se acentua no capítulo seguinte, onde é longamente versado um dos temas que, afinal, mais preocupava o Episcopado: a Fidelidade da A. C. P. à sua natureza e missão. São estas, tal como nos Princípios, definidas nos termos do Concílio Vaticano II: «Por essência, a Acção Católica é a organização do laicado que, sob a superior orientação da Hierarquia e em estreita cooperação com ela, assume a responsabilidade da direcção laical do Movimento e tem como finalidade imediata o fim apostólico da Igreja» [52]. A doutrina estava certa (e era a dos Princípios) mas a nota soava mal: insistir tanto na óbvia fidelidade denotava um velado receio de que ela estaria ameaçada...

Ao enunciar as quatro notas essenciais da Acção Católica, a Carta Pastoral firma-as no n.º 20 do decreto conciliar Apostolicam Actuositatem, que também fundamentava os Princípios Básicos; mas acrescenta-lhe outras citações e comentários, cuja hermenêutica não pode senão confundir o conceito de Acção Católica que na realidade se pretende. Fica-se com uma séria impressão de que o Episcopado temia o que fariam os leigos do modelo que sancionava. E em vez de lhe justificar as virtudes, preferiu prevenir os aspectos aonde mais receava que os seus mais íntimos colaboradores se transviassem. Numa análise resumida, entre outros destaco os seguintes:

1º) Ao afirmar que Acção Católica é «apostolado organizado» (op. cit., n.º 7), tocava-se no ponto em que os Princípios mais alteravam o formato de 1933, complexo e burocratizado, como anotámos. Mas a nada se refere a Pastoral, além de generalidades, e de uma ocasional depreciação das «estruturas de quadros burocratizados» (sem reconhecer que os Princípios desburocratizam as anteriores estruturas!); quando não era só (nem principalmente) mudar as estruturas o que se pretendia, mas as relações entre os Movimentos, os Órgãos de Coordenação, os modos de funcionar e de estar no mundo [53].

2º) Quando glosa a nota de que «a Acção Católica é organização de leigos» (op. cit., n.º 8), a Pastoral acentua sobretudo a cooperação com o clero - e a preeminência deste. Para tal cita um texto conciliar do Decreto Sobre os Sacerdotes, manifestamente fora do contexto, por não ser específico da relação sacerdotes-leigos na A.C., e que vem projectar uma inesperada sombra de clericalismo [54]. O dever lembrado aos leigos tem, de novo, carácter genérico e não contextual : «Como todos os fiéis, devem os leigos abraçar prontamente, com obediência cristã, as coisas que os sagrados pastores, representantes de Cristo, determinarem na sua qualidade de mestres e guias na Igreja» (Lumen Gentium, 37); e a insistência, pouco depois, acentua a sensação de desconfiança: «Estamos certos que os nossos filhos do laicado saberão sempre oferecer aos seus pastores a obediência e a oração, a reverência e o amor exigidos pela fé cristã» (op. cit., n.º 8). Não há, neste ponto, qualquer referência ao Assistentes Eclesiástico, mas apenas a «clero», «sacerdotes», «pastores». E, no entanto, os Princípios dedicam-lhe logo o capítulo II a valorizando muito a sua missão, desde o ponto II-1.1: « O Assistente da A.C., em virtude e no âmbito da missão recebida da Hierarquia, é presença desta no interior do movimento e aí assegura, de forma orgânica, a cooperação directa com o apostolado hierárquico, na realização dos fins próprios da A.C.»; e a quem reconhecem uma «função de natureza ministerial ou hierárquica» (II-1.2), mas não directiva (II-2.1).

3º) A estreita colaboração com a Hierarquia é, também, tratada de modo demasiado geral. Não falta o apelo ao diálogo e à colaboração nos planos da pastoral [55] (que eu saiba, este apelo não teve grande concretização prática, embora venha bem explícito na Lumen Gentium, 37). Mas a Pastoral insiste sobretudo na «superior orientação da Hierarquia», a que atribui especial intensidade: «Esta relação (hierárquica) é, no caso da Acção Católica, a mais densa e sólida que a Igreja conhece e utiliza para ordenar a cooperação entre laicado e Hierarquia, nas tarefas comuns da evangelização» (op. cit., n.º 9) [56]. O «clericalismo invasor» é expressamente prevenido, mas percebemos que o que está em causa é o receio da «autonomia laical» [57]. É este um dos aspectos que fica mais ambíguo, porque, já o vimos, fora acordado nos Princípios que a superior orientação da Hierarquia (essencial à Acção Católica) se exerceria, na futura A.C.P., em matérias e por formas delimitadas com grande precisão (cf. I-16).

4º) O ponto 10 da Pastoral começa (mas sem o dizer) tal qual o artigo inicial dos Princípios (cf. I-1), só a redacção é ligeiramente diferente: «À Acção Católica tem por finalidade imediata o fim apostólico da Igreja». E cita, à mesma, o artigo essencial do decreto conciliar sobre o apostolado dos leigos (Apostolicam Actuositatem, 20). Mas só no parágrafo seguinte é que se refere explicitamente aos Princípios, pondo em relevo aquela das três dimensões do apostolado da Acção Católica que (assim fica a parecer) mais seria de temer que fosse descurada, e não a mais específica da condição laical:
«Verificamos, com agrado, que a Acção Católica Portuguesa do presente, ao elaborar os princípios fundamentais que a hão-de reger no futuro, concedeu suficiente atenção e relevo à natureza religiosa do seu apostolado. Exortamo-la vivamente a manter-se fiel a esta perspectiva que tanto a dignifica e constituirá sempre o selo da sua autenticidade».

5º) No mesmo ponto e no seguinte é abordado um dos temas que mais devia preocupar o Episcopado: a animação cristã da ordem temporal (como se dizia, então, da sociedade civil). Há que reconhecer que a Pastoral trata este tema sensível trazendo contributos doutrinais convergentes com os Princípios, (sobretudo no seu capítulo III - Metodologia e Espiritualidade da Acção Católica). Mas, embora sem o infirmar, persiste em não relevar o que há de novo em relação às Bases de 1933. Que não é só questão metodológica, mas existencial, e vem logo à cabeça deste capítulo: «III-1. Presença na vida. O estilo dos Movimentos da A.C. caracteriza-se por uma atenção constante e profunda à vida concreta dos homens, numa perspectiva cristã. Isto implica: Uma presença comprometida dos seus militantes no meio; uma acção com todos os homens, cristãos ou não, participando com eles na promoção integral e colectiva desse meio». Sublinhamos as duas frases cruciais que significam uma mudança de orientação não sublinhada pela Pastoral. Ao cabo de trinta e muitos anos de prática apostólica, os Movimentos da A.C.P. não queriam mais ser os «Batalhões de Cristo Rei». A relação com os não cristãos do próprio meio deixara de ser a da conquista, mas a do testemunho evangélico num trabalho solidário de combate aos factores de alienação e opressão (materiais e espirituais, é claro) que impedem o «desenvolvimento do homem todo e de todos os homens» (cf. Populorum Progressio, ), e obstam à conversão cristã. Mas a Pastoral fiel ao antigo conceito advoga um apostolado vindo de fora, e não brotando de dentro, de um trabalho com as pessoas do meio, animado por pelo espírito cristão [58].

6º) Se entre as três dimensões de apostolado da Acção Católica, os Princípios dão relevo à «animação cristã da ordem temporal», que compete primordialmente aos leigos, a Pastoral parece reduzi-la à «formação das consciências», isto é, ao confronto das «realidades políticas contingentes com a luz eterna do Evangelho», como «preparação» dos militantes para «o empenhamento directo nas acções concretas» [59], e não como reflexão essencial para a tomada de posição e a acção dos Movimentos. É o ver e julgar, mas sem o agir - o agir que, neste domínio, é tarefa individual do militante, mas parece não ser missão também dos Movimentos. Por demais, a Pastoral insiste no campo político, quando os Princípios não o visam mais do que as demais esferas da vida social.


19. O fim da Acção Católica Portuguesa

As causas da queda vertical da A.C.P., por certo numerosas, serão talvez um dia elucidadas por quem tenha competência para tal, e acesso ás fontes de informação. Na responsabilidade que sinto de dar um testemunho sincero, aqui deixo estas pistas que tornam credível a hipótese atrás aventada e a seguir reformulada, para concluir.

A opinião prevalecente na Conferência Episcopal terá receado que a A.C.P., reorganizada a partir dos Princípios Básicos, e encabeçada por uma Equipa Nacional empenhada nessa metamorfose, e num apostolado visando a crítica e a transformação, não só dos indivíduos, mas das estruturas sociais, se tornasse um incómodo factor de disfunção, e levasse à ruptura as crescentes tensões na Igreja, e entre Igreja e Estado. As opções moderadoras que tomou, mesmo causando a desmotivação de muitos militantes dos mais activos, seriam então um mal menor.

Por seu turno, os leigos e os Assistentes mais entusiastas da actualização terão compreendido que o modelo decorrente dos Princípios Básicos, de uma federação de Movimentos trabalhando democraticamente, e assumindo as suas decisões e responsabilidades de intervenção na sociedade, não era aceite pelo Episcopado: que não era esta a forma desejada pela Hierarquia para a cooperação dos leigos no apostolado da Igreja, na convulsiva situação portuguesa de 1970. O Cónego António dos Santos acrescenta, com autoridade, estes factores de dissolução:
«Muitos militantes abandonaram os Movimentos. Uns, por cansaço, outros por não concordarem com as orientações dadas, outros por acharem que os movimentos eram pouco reivindicativos, não se comprometiam na vida, não assumiam posições concretas nos problemas da vida nacional.
Os Assistentes de base, na maioria párocos, deixaram de dar assistência aos grupos de militantes, desinteressavam-se da sua existência, e, nalguns casos, não aceitavam a A.C. (...)»
(op. cit., p. 41).

Mesmo quando, em 1972, os Princípios Básicos começaram a ser postos em prática, a nova Equipa Nacional estava possuída de uma apatia pessimista e funérea, traduzida no editorial do Boletim da A.C.P. (nº 406, ano 1972) - os sublinhados são nossos:
«(...) E que entendemos, que queremos concretamente fazer neste momento? A este respeito também o juízo dos outros e da Igreja toda, se nos não fecharmos no novo orgulho, é o elemento mais esclarecedor: que pensa a sociedade, a Igreja, da Acção Católica? Apercebe-se de que ainda existe? Com que obras lhe provamos que ainda existimos, se é que existimos?...» E noutro passo anuncia o óbito iminente:
«Enquanto se não atacarem os problemas de fundo, força é reconhecer que a Acção Católica se encontra moribunda, privada que está hoje de qualquer atracção dinâmica para um laicado em crescimento evidente, dilacerada por divisões profundas que se atenuaram mas cujas causas permanecem, sofrendo com particular intensidade de uma crise de Igreja a que se referem as significativas palavras do Papa que neste número transcrevemos».

E se, nesses tristes anos, a Acção Católica se foi assim definhando, entre apatias, desinteresses e conflitos, não pode sobreviver ao tremendo choque social, às crises e transformações profundas que sucederam à revolução de 25 de Abril de 1974. Com efeito, em 1976, a Conferência Episcopal suspendeu a A.C.P., como estrutura unitária e integradora dos Movimentos, deixando ao critério destes a decisão de solicitarem ser ou não ser Acção Católica.

Foi uma nova época que se abriu, e ainda é cedo para ser avaliada. Alguns Movimentos pediram ao Episcopado a qualidade de Acção Católica e a aprovação de novos estatutos, e algumas Juntas Diocesanas ainda persistem. Segundo as novas tendências são, em geral, grupos coesos de pequena dimensão. O grandioso «exército de Cristo-Rei», combatendo na frente da «restauração cristã do indivíduo, da família e da sociedade», concebido e organizado em 1933, foi um sonho que passou. A Acção Católica do futuro será necessariamente diferente, se é que não prevalecerá antes o conceito mais amplo e flexível de Apostolado dos Leigos. E, de facto, no Portugal de hoje, são sobretudo Obras e Movimentos diversos, de espiritualidade ou apostolado, que mais florescem. Talvez seja esta a face do laicado na Igreja no século XXI.


20. Balanço sucinto da Acção Católica Portuguesa

É muito difícil fazer o balanço do enorme trabalho realizado pela Acção Católica Portuguesa. Numa síntese necessariamente provisória, destacarei alguns aspectos mais salientes.

O magnífico desígnio inicial nunca foi realizado na sua totalidade. Era manifestamente utópico, com suas ressonâncias de anacrónico espírito de Cruzada, que nunca foi integralmente assumido. E no entanto o ideal de leigos se devotarem a uma acção apostólica em íntima colaboração e sob a superior orientação da Hierarquia, galvanizou uma multidão de católicos, como nunca se vira no Portugal em processo de secularização da sociedade.

Desde o fim da Guerra, uma nova geração de militantes já fazia uma diferente leitura dos sinais dos tempos. A caminhada espiritual da Igreja, que culminou no Concílio, apontava para outro estilo de apostolado. A formação doutrinal, a vivência espiritual e a prática apostólica que a própria Acção Católica proporcionava é que levaram os militantes a substituir esse espírito de conquista por um ideal de presença no mundo, de solidariedade com os não crentes na transformação das mentalidades e da sociedade, de dentro e desde a base, e não imposta de fora e de cima.

Neste contexto, a organização complexa, rígida e burocrática das Bases Orgânicas de 1933 depressa se revelou uma construção teórica desajustada às novas espiritualidade e dinâmica apostólica. Mas quando o longo e reflectido trabalho de reestruturação se completou, as bruscas mudanças na sociedade portuguesa, as convulsões internas à Igreja e o aparecimento de novos modos e organismos de apostolado dos leigos, deram o golpe final na majestosa instituição.

Entretanto, a A.C.P. fizera uma obra extraordinária. Entusiasmou e dinamizou numerosos cristãos portugueses, na exigência de uma vida e de um testemunho segundo o Evangelho, formou-os não só no ensino teológico e social da Igreja, mas também na reflexão sobre a situação e os problemas da sociedade. Criou núcleos de solidariedade para com os que estavam material, espiritual ou socialmente humilhados e oprimidos. Afirmou uma presença cristã nunca antes conseguida pelo laicado, em muitas e variadas manifestações públicas, em reuniões concorridas e publicações difundidas, e sobretudo na vida quotidiana. Contribuiu decisivamente para uma mais profunda descoberta de Cristo e da espiritualidade cristã a uma multidão de crentes e não crentes, e para manifestar a doutrina evangélica e do Magistério da Igreja no seio de uma sociedade hostil, durante um regime político totalitário. Ao longo de quatro décadas de severas limitações dos direitos do homem, em particular do direito de associação, de informação e livre expressão do pensamento, permitiu que numerosos cristãos pudessem exercer esses direitos (embora com muitas vicissitudes), numa participação colectiva no apostolado da Igreja.

As dificuldades foram consideráveis, a desconfiança do Governo não deixou de crescer, e o Episcopado nunca quis correr riscos de perder as prerrogativas custosamente recuperadas pela Concordata - incluindo o direito de associação e publicação com fins religiosos, que permitiu organizar a própria Acção Católica. Mas, ao exercê-lo, nunca deixou de questionar a sociedade e a política e a cultura estabelecidas. Em verdade, pode dizer-se que A.C.P. representou mesmo a face da Igreja inconformada e intransigente quanto às injustiças do regime político e da vida social. Não foi a única associação cristã a afrontar as injustiças sociais e políticas, mas foi a mais influente e mais representativa da Igreja, na estreita cooperação dos cristãos leigos com os Assistentes Eclesiásticos e com os Bispos.

Os muitos militantes que devotaram com entusiasmo uma larga parte da sua vida à Acção Católica, e dela muito receberam, não estão por certo arrependidos. Alguns ainda permanecem em organizações católicas, outros estão activos em associações civis, sindicatos, meios de comunicação social, empresas, na administração pública, em partidos e órgãos políticos. Nenhuma outra escola formou e treinou tantas mulheres e tantos homens para as novas estruturas sociais democráticas emergentes do 25 de Abril. Esta foi uma tarefa que também a A.C.P. realizou (até pela prática de ela própria funcionar democraticamente nos seus últimos tempos). Não a cumpriu como objectivo principal, mas como imperativo de consciência e supletivamente, quando o regime político não permitia que outros movimentos o fizessem. Deste enorme trabalho é o País credor à Igreja.

A fórmula de uma organização constituída e dirigida por leigos ser mandatada para participar no apostolado hierárquico da Igreja, foi considerada providencial. No seu nobre objectivo de uma acção solidária no seio da Igreja pareceu viável e funcionou durante décadas. Mas, entendida de modo estrito, como foi em Portugal, escondia uma perigosa contradição. A ciência da organização ensina que uma associação colectiva tem de ter uma única linha de comando hierárquico. A Acção Católica era uma organização de leigos, tinha corpos deliberativos e directivos formados por leigos. Mas o Episcopado nunca renunciou à superior orientação, com controlo e poder de veto das decisões e documentos, sobretudo os destinados a projecção externa. Era esta, dizia-se, a sua forma de colaboração com o laicado, inerente ao seu poder doutrinal e pastoral - recebido de Cristo através dos Apóstolos - e que, em Portugal, nunca quis delegar nos leigos. Este facto (que significava uma contradição estrutural) criou um foco de tensão interna que, nos tempos revoltos do aggiornamento pós-conciliar, e com a correspondente valorização da condição laical na Igreja, se agravou ao ponto da rotura.

Seria uma ilusão sonhar com uma federação de Movimentos de apostolado leigo estruturado e funcionando democraticamente, e que ao mesmo tempo constituía um organismo oficial da Igreja, cuja orgânica interna é aristocrática, por essência e secular tradição histórica? Continuo a pensar que não. Mas era uma empresa arriscada e, na situação portuguesa de então, os riscos pagavam-se caros. Que o digam tantos que se arriscaram, O Bispo do Porto, os Padres Manuel Rocha e Abel Varzim, os Padres Felicidade e Nascimento, tantos militantes leigos e Assistentes Eclesiásticos. Mas a Acção Católica Portuguesa, ousou ter esse sonho, e pô-lo em prática, e correr esses riscos de mostrar uma face da Igreja Portuguesa intrépida e resistente contra as injustiças sociais e políticas, sem nunca descurar a tarefa de fundo que é a metanóia, a profunda conversão da mentalidade e do comportamento das pessoas. De resto, repito, tanto quanto eu saiba, a motivação essencial da A.C.P. nunca foi política mas apostólica cristã. Ao contrário de Itália, por exemplo, a A.C.P. nunca sofreu a tentação de instaurar uma democracia cristã.

O sonho que a actualização da Acção Católica acalentou era mais viável no regime democrático que hoje vigora em Portugal. Mas, por outro lado, esse mesmo regime atrai os cristãos para uma multiplicidade de instituições e tarefas da sociedade civil. E embora subsistam, em Portugal, injustiças e situações de miséria e opressão material e moral, não seria possível reorganizar um movimento apostólico com dezenas de milhar de militantes. O apostolado mantém plena exigência, mas há-de fazer-se, mais individual que colectivo, no âmago da própria sociedade, como o evangélico «fermento levedando a massa» - assim o propunham os Princípios Básicos de 1970.

A que vivemos foi talvez uma aventura quixotesca, votada à falência. Mas a semente foi lançada, germinou (até noutras árvores), deu frutos... Pela minha parte, não hesito em afirmar: valeu a pena, foi uma experiência magnífica- embora frustrante -, nesses tempos duros mas fascinantes, de muitos desafios, tempos de luta e de grandes esperanças. Deo gratias!

Lisboa, 24 de Junho de 1996



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[1] Felizmente este trabalho foi iniciado, nos últimos anos, no Centro de Estudos Religiosos da Universidade Católica Portuguesa, e já se traduziu num trabalho de organização da documentação proveniente dos arquivos dos orgãos da ACP agora desaparecidos, num projecto coordenado pelo Dr. Paulo Fontes, que já publicou um ensaio de enquadramento, A Acção Católica Portuguesa (1933-1974) e a presença da Igreja na Sociedade, separata de Lusitânia Sacra, 2ª série (6), 1994, documento que citarei neste testemunho.

[2] Destes trabalhos consultei um extenso documento não publicado, intitulado Para a História dos Movimentos de Leigos em Portugal ‑ I. A Acção Católica Portuguesa, e o ensaio Revisão Histórica da Acção Católica Portuguesa, Revista Laikos, Ano IV, Outubro de 1980, nº 10.

[3] Estes dados foram recolhidos no referido trabalho não publicado do Cónego António dos Santos. pp. 3 a 6.

[4] Cf. Civardi, Mons. Luís, Manual de Acção Católica, Oficinas Gráficas da «Pax», Braga, 1935, p. 35.

[5] Idem ibidem, p. 36.

[6] Segundo o Artº 96º dos Estatutos: «O Assistente Eclesiástico é o Delegado da Hierarquia que, junto da Acção Católica, terá por missão: a) manter e defender a integridade da fé, da moral e da disciplina da Igreja; b) formar, assistir e animar os associados da mesma Acção católica em ordem ao seu apostolado».

[7] Citado pelo Padre António dos Santos [1983: pp. 22-23].

[8] Idem, idibem, p. 26.

[9] Idem, ibidem, pag. 16-17. Os sublinhados são nossos.

[10] Note-se que Cardijn veio expressamente a Portugal, em 1933, dirigir o primeiro curso de formação de Assistentes Eclesiásticos de ACP.

[11] Senão veja-se o carácter doutrinal e dissociado dos temas dos anos sociais de 1939/40 a 1942/43: 1º ano: O Homem e Deus; 2º ano: O Homem e Jesus Cristo; 3º ano: O Homem e a Igreja; 4º ano: O Homem e a vida cristã. E entretanto decorria a Guerra Mundial, com todas as implicações éticas e ideológicas, a crise que gerou, e o seu cortejo de calamidades...

[12] Idem, ibidem, pag. 71.

[13] Idem, ibidem, pag. 122. O estudo Posição actual da Acção Católica Portuguesa foi publicado pelas Edições da Acção Católica.

[14] Idem, ibidem, pág. 37.

[15] Idem, ibidem, pag. 38.

[16] A ACP enquanto tal e a maioria dos seus Organismos nunca tiveram, porém, personalidade jurídica ao abrigo da Concordata.

[17] Numa página dramática do seu diário, em que reflecte sobre a sua demissão com profunda dor, Abel Varzim refere que o Cardeal Cerejeira, quando lha anunciou, justificou-se pela necessidade de o manter como «reserva da Igreja» indispensável para quando o regime acabasse e acrescentou: «Isto não dura muito tempo».

[18] Idem, ibidem, pag. 89-90.

[19] O Bispo do Porto não foi formalmente exilado, mas tendo-se ausentado do País, ao tentar regressar não teve autorização da polícia na fronteira. De resto a Santa Sé, como dissemos, nunca destituiu o Senhor D. António (como o Governo insistentemente pediu). Só que, estando impedido de regressar a Portugal, esta situação obrigou a nomear um administrador apostólico da Diocese do Porto, o Bispo Auxiliar D. Florentino de Andrade e Silva.

[20] A Comissão era constituída por: José Manuel Galvão Teles, Irene do Carmo, Maria Elisa Salreta, Nuno Silva Miguel, Odete Gonçalves Bento, Carlos Portas, José Eduardo Mendes Ferrão e Miguel Ramos Ascensão. A Comissão era assistida por dois grupos de estudo assim constituídos: Natureza e fins da Acção Católica: Padre Dr. António Ribeiro, Padre Agostinho Jardim Gonçalves, Padre Bartolomeu Reker, Maria Joana Veloso, Maria de Lourdes Belchior, António Macieira Costa e António de Sousa Gomes. Realidades sociológicas: Padre Dr. José Carlos da Silva e Sousa, Barbosa Lopes, Alberto Alarcão e Silva e Carlos Augusto Fernandes de Almeida. Mais tarde foi constituído um Grupo de diálogo com o Episcopado tinha a seguinte composição: Maria Palmira Lopes, Maria Fernanda Morna, Loureiro de Amorim, João Duarte Cunha, Jorge Jardim Gonçalves, José Manuel Galvão Teles e Sidónio Paes.

[21] Recordo que consultei então, entre outros, os meus amigos João Gomes, Manuel Alpiarça, Joana Veloso, Francisco Pereira de Moura e Nuno Teotónio Pereira.

[22] Com muita amizade e reconhecimento, deixo nota dos nomes que constituíram esta Junta Central, tal como vêm noticiados no Boletim da ACP (nº 383, pag. 38): Secretário Geral: Sidónio de Freitas Branco Paes*; Secretário Geral Adjunto: Fernando Moreira de Abreu*; Tesoureiro: Luís Melo Breyner Pereira; Vogais indicados pelas Organizações: Marta Lima Mayer da Câmara Pina*, Maria Helena Loureiro, Valdemiro Líbano Monteiro*, Mário de Castro Pina Correia; Vogais por mim propostos: José Manuel Galvão Teles (coordenador da Comissão de Actualização), Celeste Alves Costa*, Maria Joana de Meneses Lopes e Henrique Santa Clara Gomes. Só os nomes marcados com * se mantiveram até 1970. Desde 1968/69, os demais foram sendo substituídos por Rodrigo Sande Lemos, José Carlos Mégre, Maria de Aires Lança Conceição, Maria Amélia Trigo Pereira e Margarida Barata Salgueiro. Em fins de 1969 o Assistente passou a ser o Bispo para o Apostolado dos Leigos, D. António Ribeiro, passando o Padre Dr. Orlando Leitão a Assistente Adjunto (embora fosse quem exercia quotidiana e efectivamente a função).

[23] Algumas reflexões e orientações propostas à A.C.P. com vista ao cinquentenário das Aparições de Fátima (Ref.ª n.º 309/66-67, 1 de Maio de 1967).

[24] Os editoriais do Boletim da A.C.P. eram da responsabilidade do Director, Proprietário e Editor, funções que formalmente me estavam pessoalmente atribuídas, enquanto Secretário Geral da Junta Central.

[25] Delegados: Sidónio da Freitas Branco Paes, Fernado Abreu, Maria Joana de Menezes Lopes, José Manuel Galvão Teles, Maria Vitória Pinheiro, Maria Cristina Rocha, Luís Rocha, Maria Regina Silveira e Sousa, Maria Fernanda de Freitas Morna, Lídia do Carmo Sousa, José João Campos Rodrigues, Eduardo da Silva Pereira, Maria Palmira Lopes, Maria Madalena Bensaúde, Filipe Bensaúde, Maria Helena Nabais dos Santos, António Nabais dos Santos, José Mendes Ferrão, Maria Isabel Meireles, Maria de Lurdes Valadares Tavares, Maria da Conceição Pizarro de Mello, Maria Teresa Santa Clara Gomes, António Quadros Ferro, Maria Joana Veloso, Maria Luísa Pardal Monteiro, Padre Orlando Leitão, Padre José Serrazina, Padre Agostinho Jardim Gonçalves, Cónego Maurílio de Gouveia, Padre Armindo Duarte. Peritos: Eduardo Veloso, Maria Berta Peixoto da Costa, Maria de Lourdes Belchior, Rogério Martins, Teresa Martins de Carvalho.

[26] Para destacar as grandes tendências emergentes do Congresso, escrevi um extenso artigo Algumas pistas resultantes do Congresso, publicado no Boletim da A.C.P., nº 388,pp. 96-108.

[27] A Teología de la Liberación, de Gustavo Gutiérrez, foi publicada só em 1971, mas teve como base uma conferência proferida num encontro de sacerdotes em Chimbote, Peru, em Julho de 1968. E teve já bastante eco na Conferência Episcopal Latino-Americana em Medellín, Colômbia, nesse mesmo ano crucial de 1968.

[28] Ver textos destes dois programas no Boletim da A.C.P., nº 389, pp. 70-73.

[29] Cf. Boletim da A.C.P., nº 389, p. 71.

[30] Citado no documento Refª. nº. 305/67-68, interno da Junta Central, de foi dado conhecimento ao Episcopado.

[31] A Junta Central mandatada para o ano social de 1968-69, além deste veto do Emª. Director Nacional, teve as seguintes alterações: o Tesoureiro passou a ser Rodrigo de Sande Lemos, sairam os Vogais Maria Helena Loureiro, Mário Pina Correia e Maria Joana Lopes (esta por solidariedade com Henrique Santa Clara Gomes) e entraram Maria de Aires Lança Conceição e José Carlos Mégre; José Manuel Galvão Teles continuou a coordenar a Comissão de Actualização, mas sem pertencer à Junta Central.

[32] Cf. Mensagem de Paulo VI sobre o Dia da Paz.

[33] Cf. Radiomensagem natalícia de Paulo VI.

[34] Cf. Pacem in Terris, ed. União Gráfica, Lisboa 1962.

[35] Cf. Mensagem de Paulo VI sobre o Dia da Paz.

[36] Cf. Mensagem de Paulo VI sobre o Dia da Paz.

[37] Texto transcrito dos Votos e Conclusões do Conselho Plenário da Junta Central da A.C.P.(Ref.ª 120 / 68-69), e que termina com a seguinte:«Nota: O primeiro voto foi aprovado por unanimidade e o segundo por 17 votos, nenhum contra e 10 abstenções».

[38] A resolução consta do documento referenciado na nota anterior.

[39] Cf. Votos e Conclusões do Conselho Plenário da Junta Central da A.C.P., Refª. nº. 282 / 69-70.

[40] Por exemplo, o conceito de bem comum, então muito em voga nos meios católicos, podia prestar-se (abusivamente, muito embora) a justificar a censura, na situação de guerra existente. Nos documentos transcritos nos Anexos XIII e XVI, esse conceito já se encontra definido com precisão, de modo a impedir aplicações ambíguas.

[41] Cf. Votos e Conclusões do Conselho Plenário da Junta Central da A.C.P., Refª. nº. 20 / 69-70.

[42] Transcrito do ofício nº 180 /1969-70, de 3/4/1970, enviado pela Junta Central ao Bispo do Apostolado dos Leigos.

[43] A composição deste grupo era a seguinte: Dr. Loureiro de Amorim (Presidente da Junta Diocesana de Braga), Eng. Jorge Jardim Gonçalves (Presidente da Junta Diocesana do Porto), Maria Palmira Lopes (Presidente da JOCF.), Maria Fernanda Morna (da Equipa Nacional LIC/F) e Eng. João Duarte Cunha (Presidente da Equipa Nacional da JUC), Dr. José Manuel Galvão Teles (pela Comissão de Actualização) e Eng. Sidónio Paes (pela Junta Central). Os delegados do Episcopado era presidida pelo Senhor Cardeal Patriarca de Lisboa e constituída pela Comissão Episcopal para o Apostolado dos Leigos. Quando o Senhor D. António Ribeiro foi eleito Presidente desta Comissão, passou a liderar o grupo episcopal de diálogo, desde meados de 1969 (cf. Boletim da A.C.P., nº 394, pp. 18 e 19, e nº 395, p. 42).

[44] Texto transcrito dos Votos e Conclusões do Conselho Plenário da Junta Central da A.C.P.( Ref.ª 282 / 68-69). Dentro da Igreja havia, aliás, uma facção conservadora que desconfiava do espírito da actualização. Um sinal dessa tendência foi o artigo de Galamba de Oliveira Acção Católica ou Partido Político, publicado no semanário A Voz de Domingo (nº 1859). Como Secretário Geral da Junta Central respondi rebatendo os argumentos expostos, numa carta que aquele semanário publicou, omitindo a introdução (cf. Boletim da A.C.P., nº 393, Janeiro a Março de 1969, pp. 12-17).

[45] Os Princípios Básicos estão publicados, juntamente com a Carta Pastoral do Episcopado que os promulgou, no Boletim da A. C. P. nº 402, de 1971.

[46] II. O Assistente da Acção Católica; III. Metodologia e espiritualidade da Acção católica; IV. Especialização e estrutura.

[47] Se o Padre Santos que muito prezo me permite um reparo, diria que, depois da aprovação dos Princípios Básicos, não se tratava, para os Movimentos tanto de «reencontrarem a sua identidade», mas de a afirmarem plenamente, pois que já a vinham antes progressivamente «encontrando», numa prática que deu forma aos Princípios Básicos.

[48] O novo Secretário Geral era António Sousa Franco, cristão irrepreensível, vocacionado para uma notável carreira pública e política, mas que não tinha pretígio na A.C.P., e não participara no processo de actualização. Como jurista mas era julgado pelo Episcopado capaz de regulamentar devidamente os Princípios Básicos. Mas, no termos processuais nestes prescritos, nunca seria um candidato elegível.

[49]
«Reunidos em Assembleia Plenária no santuário de Nossa Senhora de Fátima, os Bispos da metrópole sentem-se felizes por ver concluída a primeira fase desse meritório trabalho e, de bom grado, aprovam por um período experimental de cinco anos, os Princípios da A.C.P., renovada à luz do Concílio. Ao mesmo tempo, manifestam a esperança de que, em breve, seja alcançado o termo das fases posteriores de actualização, nomeadamente as relativas à elaboração de um Estatuto orgânico, comum aos vários Movimentos da A.C.P. e dos Regulamentos julgados necessários. Estes instrumentos jurídicos, tendo em conta os Princípios Básicos, agora aprovados, deverão jurídicos, tendo em conta os Princípios Básicos, agora aprovados, deverão garantir a indispensável unidade e a legítima autonomia dos Movimentos apostólicos que a integram.»

[50]
«Apraz-nos ainda reafirmar à Acção Católica a confiança que sempre nela temos depositado. Se consuderarmos o seu passado, também entre nós ela é credora de especial menção de apreço que o Concílio lhe fez, e, com justiça dela disseram os Bispos da Metrópole em 1966: "Lançada oficialmente em Portugal, na alvorada da renovação da vida religiosa do país, sob os auspícios da Virgem de fátima e precisamente quando a sua maternal mensagem começava a frutificar em graça e vida interior nas almas, ao denodado esforço dos pioneiros da Acção Católica e dos seus continuadores se deve, em grande parte, o admirável florescimento da vida cristã das nossas dioceses e paróquias. A ela se devem os passos decisivos para uma consciencialização apostólica do laicado, as primeiras iniciativas sérias, em plano nacional, para o incremento e a participação activa no culto litúrgico. Para a restauração e edificação da família, para a mentalização cristã dos diferentes meios sociais".»

[51] Cfr. Base I da A. C. P.: Guia da Acção Católica Portuguesa (União Gráfica, Lisboa, 1953), p. 3.

[52] Cf. Decreto Apostolicam Actuositatem, nº 20.

[53] Exorta assim à organização: «Deste modo, a Acção Católica, para ser fiel a si mesma, jamais descurará os aspectos organizativos essenciais, que não se reduzem a simples estruturas de quadros burocráticos, mas se concretizam em formas de associação orgânica, reflexo do dinamismo próprio da Igreja» (op. cit., nº 7). Mas recorda que há algo mais importante do que as estruturas: «A renovação da Acção Católica, como aliás da Igreja inteira, depende menos da mudança das estruturas do que da conversão interior dos corações. Renovar as estruturas, os métodos de trabalho e os programas de acção é mais fácil do que renovar os espíritos, tarefa esta sempre urgente e necessária para correspondermos ao apelo do Evangelho...» (op. cit., nº 13). Mas não confirma que os Princípios não esqueceram esse requisito básico.

[54] «Devem os sacerdotes estar à frente, de tal modo que, sem procurarem os próprios interesses mas os de Jesus Cristo, trabalhem na obra comum com os leigos e vivam no meio deles segundo o exemplo do Mestre que se pôs entre os homens, "não para ser servido, mas para servir e dar a vida pela redenção de muitos" (Mt. 20, 28). Os sacerdotes reconheçam e promovam sinceramente a dignidade e participação própria dos leigos na missão da Igreja. Estejam dispostos a ouvir os leigos, considerando fraternalmente os seus desejos, reconhecendo a experiência e competência deles nos diversos campos da actividade humana, para que juntamente com eles, possam reconhecer os sinais dos tempos. Sabendo discernir se os espíritos vêm de Deus, prescrutem com sentido de fé, reconheçam com alegria e promovam com diligência os multiformes carismas dos leigos, tanto os humildes como os sublimes. (...) Entreguem aos leigos, com confiança, encargos do serviço da Igreja, deixando-lhes espaço e liberdade de acção, convidando-os mesmo a oportunamente terem a iniciativa de empreendimentos. (Decreto Presbyterorum Ordinis, 10)» (cf. op. cit., nº 8; os sublinhados são nossos)

[55] «Bem gostaríamos que todos os pastores de almas pusessem em prática estas directivas conciliares [de novo do decreto conciliar sobre os sacerdotes, Presbyterorum Ordinis, 10] e, feitos irmãos entre irmãos, com os leigos estudassem e ponderassem os mais ajustados planos de acção pastoral a empreender conjuntamente, em benefício do Reino de Deus.» (op. cit., nº 8)

[56] E acrescenta: «Para a Acção Católica, aceitar a superior orientação da Hierarquia significa, entre outras coisas, aceitar a inserção explícita da própria actividade de apostolado num plano mais amplo, promovido por aqueles que Deus pôs à frente da Sua Igreja (Act. 20, 28), e estudar e harmonizar com eles os tempos, os modos e as formas de actuação, no âmbito da pastoral orgânica correspondente às exigências concretas de cada situação histórica. Esta superior orientação é consequência e sinal da intimidade vinculante que solidariza os leigos e os pastores, na profunda relação eclesial interna ao Povo de Deus e à sua presença no mundo. Ela opõe-se, por um lado, ao clericalismo invasor, e por outro, a formas ilusórias de autonomia dos laical» (op. cit., nº 9).

[57] «Esta superior orientação é consequência e sinal da intimidade vinculante que solidariza os leigos e os pastores, na profunda relação eclesial interna ao Povo de Deus e à sua presença no mundo. Ela opõe-se, por um lado, ao clericalismo invasor, e por outro a formas ilusórias de autonomia laical.» (op. cit., nº 10)

[58] Diz a Pastoral: «Queremo-la [a Acção Católica] muito presente e inserida na vida real humana. Mas sejam quais forem os problemas que afronta, jamais deixará de os ver sob o prisma religioso, isto é, na relação que directa ou indirectamente têm com a vocação e o destino sobrenatural dos homens. As questões económicas, sociais, sindicais, políticas e culturais não podem ser alheias à Acção Católica e aos seus militantes. Por elas passa o Reino de Deus, e é nelas que a fé sobrenatural e a graça de Cristo operam o milagre da restauração e divinização dos homens» (op. cit., 10). E mais adiante: «A condição laical dos militantes da Acção Católica e o estilo característico do seu método de trabalho justificam a tónica de encarnação posta na sua espiritualidade que "acolhe o mundo e os seus valores como expressão e exigência do amor de Deus, de Cristo e da Igreja".» (op. cit., 14)

[59] Sobre este aspecto tão sensível, a Carta Pastoral afirma, no nº 11:
«Fiel ao seu apostolado de formação das consciências e de animação cristã de toda a ordem temporal, a Acção Católica não deixará de confrontar as realidades políticas contingentes com a luz eterna do Evangelho e do Magistério da Igreja, preparando assim os seus militantes para o empenhamento directo nas acções concretas.»

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